31 dicembre 2007

Lei, che sa a cosa dare fuoco

Che così facilmente sfumano e rabbrividiscono, doverci soffiare sopra, mandare via la polvere, che altri cento occhi famelici non bastano a capirne il colore, l'attesa, fino a dove si può arrivare a volerli discendere come un viaggio al centro della terra. La terra che qui sei scoperta e nuda, qui sei una pietra fredda, qui un ventre terrorizzato, futilmente cannibale, più scuro, arrendevole, senza sonno. Tanta vergogna per un'isteria che è il dialetto che cerchi di nascondere tra le labbra. Il premio per i più penetranti panneggi, i più accessi affondi, i più dipinti sipari a quei due ancora, lenti, rumorosi, bambini cattivi. Non sto riflettendo, sto scoprendo il mio narcisismo difettato. Loro due sono una battaglia in mare, sono allucinazioni e tremori, sono neurotica e stagnante gioia. Io metto in moto questa lingua molle e coperta di ruggine e mi nascondo dietro di lei, davanti a loro: l'esperienza è solo un costume, l'esperienza si fa solo con travestimento addosso. Certa solitudine è bianca come l'avorio. Si può mettere in dubbio qualunque cosa: La fame e l'amore, la trasparenza del tempo, le immagini di sensi più strani, il silenzio durante la formulazione di un urlo, incubazione. Ricordare è solo l'orgasmo, perchè farlo di corsa? Da quali sogni un ospite cerca riparo, incapace di fermarsi? Io mi metto sopra di lei come una preda che sorprende il suo predatore e le faccio uscire respiri in riccioli, poi lei scalcia via il tempo con una risata. Mi assalgono il profumo e la fatica dell'acqua, l'ipnosi di muscoli neri e luccicanti delusioni confuse nel panorama dei sogni.
Quanto immeritati, aperti per me, quegli occhi.

29 dicembre 2007

Tutto questo contro k

Non si gioca col cibo eppure fare a palle di neve è permesso.

Si conclude un anno.
Meno male che questo era l'ultimo.

Di qualcosa che il mare si porta via, il ritratto non si può fare con la sabbia.

chi è thefragile?
sul retro di lato molto distante è un posto dove mi nascondo dove mi trattengo ho provato a dire ho provato a chiedere avevo bisogno di tutto solo per conto mio dov'eri? come ho potuto solo pensare è divertente come tutto quello che promise non cambierà è diverso adesso proprio come te diresti sempre lo supereremo allora la mia testa si staccò e tu dov'eri? come ho potuto mai pensare è divertente come tutto quello che promettesti non cambierà mai è diverso adesso come hai detto tu ed io superarlo non proprio staccarsi dove diavolo eri?

Finora contro la mia gioia mi sono difeso unicamente con il divertimento intellettuale. Nulla del mio essere è cambiato. Ai miei segreti, posso parlare: Grande Cane, idolo d'oro, permettimi di dare un morso al Sacro Osso! Tremende le parole di un mio figlio: "Tutto quello che hai combinato, lo devi alla tua mancanza di denaro". Non credeva che mi sarei dato al vizio e alla bella vita. Non con tutta la mia stoltezza, la mia gioia, la mia indigenza. Prevedibile coincidenza: avevo deciso di tacere e si presentò una donna. Veri giorni di festa sono stati per me quelli della malattia.
Ma non si tratta di questo. Il mio avvenire si fa sempre più facile per le mie difficoltà economiche. Se non avessi l'impaccio di questa incapacità di piangere. Ma ora è facile. Da poco mi chiedo se sia possibile fermarsi. E poiché finora ho sempre operato cercando, ricordando, spesso ho pensato che non fosse mio dovere tentare di difendere me stesso. Se l'avessi fatto, non avrei mai più potuto rimproverarmelo. Ogni giorno maledico il Grande Cane di avermi concesso tutto, di avermi privato di tutto. Io lo prego ogni giorno di dimenticarsi di me. Egli non sa nulla.

15 dicembre 2007

Davanti a te, m'inquino.

Invece di fare il proprio dovere, si pensa ad una riforma del calendario. Che poi, perchè 12 mesi? 365 non è neanche divisibile per 12. E infatti ogni mese finisce al giorno che gli pare. Uno a 30, un altro a 31, quell'altro che vuole fare il furbo a 28. Facciamo invece le cose per bene. Io propongo: 13 mesi da 28 giorni, l'ultimo dei quali da 29 (30 per gli anni bisestili). Più chiaro, più semplice. Oppure: ancora 13 mesi, 6 da 27 giorni e 7 da 29, intervallati. Più simmetrico, meno meccanico, 365 giorni precisi; per gli anni bisestili potremmo allungare a 28 giorni il mese di mezzo, che un giorno più d'estate non dispiace a nessuno. Poi, già che ci siamo, possiamo allineare l'inizio dell'anno con equinozi o solstizi, così che il cominciare, l'arrivare a metà e il finire di un anno, corrispondano ad un semplice evento astronomico.

Mi alzo, vado in bagno, mi guardo allo specchio. Cristo. Imponi ogni giorno questa faccia alle persone cui capiti davanti. Senso di colpa. Esco di casa, scendo in strada, mi incammino. McDonald. Ordino due panini. Non mi fissare, commessa carina. La commessa ha un viso grazioso, la bellezza tratta da una canzone di un gruppo sconosciuto. Peccato che lavorando in una multinazionale tu debba perdere tutto il tuo credito alternativo, come se quel gruppo avesse firmato per una Major. Lo so, sono i miei capelli, sono spettinati. E nemmeno di quello spettinato-ma-bello che sta bene alle persone belle-ma-spettinate; sono solo spettinati. Mi metto a posto domani. Gente seduta ai tavoli, un ragazzo solo, una ragazza sola. Oddio, dovresti mettervi a mangiare insieme, è così evidente. Gli unici due a mangiare da soli, accidenti, se non volete farlo per sentimento almeno fatelo per ossessione: completate il quadro, così me ne posso andare. Di nuovo in strada, c'è più vento di quando sono entrato, lo stato dei capelli peggiora, ormai perso ogni pudore mangio dalla busta di cartone come un barbone. Fermo al semaforo aspettando il verde, osservo loro due sul motorino: lei cerca di mettere il piede sulla pedana sotto il manubrio, lui si scherma e la respinge delicatamente, ma senza tregua, lei ci riprova. Vanno avanti per un paio di minuti. Non posso vederli in faccia, a causa dei caschi, ma mi immagino stiano sorridendo o qualcosa del genere. Rituali strani per animali strani. Mi viene in mente lei, noi due che parliamo. Cerchiamo di spiegarci come si legge il mondo. Tu alla ricerca di tanti piccoli indizi, da collegare, annotare, annodare. Io disperato per la mancanza di un grande unico schema che rifletta ogni cosa. Non ci sono termini buoni per parlare di cose come queste: tiriamo fuori parole come "sincronia", "armonia", "simmetria", "amore che tiene legato ciò che è lontano, senza una logica". Ma non stiamo parlando di noi. Lei, insieme a me, a volte rimane un po' sola. Come se per pensare ad altre storie, finisca per pensare a me. Un certo strabismo nei pensieri.
Succede che il silenzio finisca per prendere il mio posto.
Succede che il silenzio diventi me.
Le facce, e il freddo sulla mia, mi distraggono. Mi sembra di pescare idee come da una di quelle macchine in cui infili la monetina e guidi una mano meccanica perchè raccolga il tuo premio. Anche se ti riesce di acchiappare qualcosa, ricade nel mucchio prima che tu possa farla tua. Tanto più si asseconda la mania di compartimentare la realtà, tanto più ogni rapporto o legame apparirà come una contaminazione, qualcosa di irrazionale nel senso etimologico del termine, ovvero: fuori dalla divisione. Passo di fronte ad una libreria. Mi vengono in mente titoli di libri surreali: La possibilità di un'isolitudine, Alla ricerca del tempo mai avuto. Foto in negativo a punte di matita. Chissà se qualcuno ha già pensato di farle, la grafite apparirebbe bianca, straniante. Non ho visto la foto, ma già mi piace l'effetto che fa. Ritorno a casa. Nessun post-it sulla porta della mia camera, nessun messaggio lasciato sulla lavagnetta sopra il frigorifero. La cosa migliore che può capitare ad una porta in cui nessuno vuole entrare è un cartello con scritto "Vietato l'ingresso".

08 dicembre 2007

Mozzichi e nuvole

Il Meccanismo Bizantino giace sotto il mio letto mentre dormo, e ci sono delle notti in cui cresce e cresce e mi solleva fino al soffitto. Il Meccanismo Bizantino non fa paura, ma fa impallidire ogni divinità mai adorata dall'uomo. Il Meccanismo Bizantino non ama e non odia, il Meccanismo Bizantino è paradosso irrisolvibile e completo. In principio, sarebbe possibile conoscere il futuro, il passato e il tempo in sè, guardando attraverso le lenti del Meccanismo Bizantino. Il Meccanismo Bizantino costruisce il mondo quando apro gli occhi e lo distrugge quando li richiudo. Ci si avvicina al Meccanismo Bizantino ascoltando la parola di Zenon il profeta. Il Meccanismo Bizantino gradisce che io rimanga fermo, quando viola il mondo con le sue propaggini. Il Meccanismo Bizantino disallinea le rotazioni dei cieli e delle terre, secerne il collante che regge coesa la materia, che poi innerva. Chi osa tentare di abbeverarsi a questa fonte, diventa superfluo al Meccanismo Bizantino. Il Meccanismo Bizantino nega l'oro, l'argento e tutto ciò che c'è di più prezioso. Nulla proviene dal Meccanismo Bizantino, nulla tornerà al Meccanismo Bizantino. Il dilemma dell'essere viene neutralizzato dal Meccanismo Bizantino, per definizione. Non più sento alieno il mio animo abietto, quando sono sobillato dal Meccanismo Bizantino.

Durante la notte numero uno, ho inventato il linguaggio nuovo. Dimentiche sillabe e parole, il linguaggio nuovo era composto di simbolemi atomici, dal significato unico ed indivisibile. Forte della nuova disambiguità, il linguaggio nuovo non aveva bisogno di alcuna grammatica: ogni sequenza di simbolemi avrebbe prodotto una nuova idea, un discorso perfettamente sensato, un concetto inconfutabile. L'unica convenzione era la disposizione sul piano di scrittura: tre righe parallele e concentriche, a spirale. Come un'aria a tre voci, una tripla armonia semantica. La sorpresa risiedeva nella scoperta di poter leggere radialmente i simbolemi, dal centro verso l'esterno, generando ancora nuovi significati. Persino la rimozione di una delle tre spirali si produceva in un'opera creativa.
Durante la notte numero tre, ho dato una sbirciata in un supermercato del futuro. Ho comprato un barattolo di latta, pieno di una specie di mollica inzuppata nell'acqua e avvolta in quelle che sembravano foglie d'insalata, o alghe. La mia lattina era però contaminata. All'interno, tra gli avanzi di mollica, si contorceva una lumaca gigante, rossa e ruvida come una lingua, senza guscio o antenne o altri elementi di riconoscimento.
Della notte numero due, narrerò in una prossima occasione.

02 dicembre 2007

Di infradito ed altri scandali

Sono sveglio. No, stai ancora sognando. E' domenica mattina. No, è lunedì. Posso dormire ancora un po'. No, sei già in ritardo. Faccio colazione e mi rimetto a letto. Nessuno ti ha preparato la colazione. Torno subito. Vattene via.

L'ho assaporato con precisione, lo strappo alla schiena, durante quel faccia a faccia: lo stato di abbandono degli ammortizzatori anteriori e l'erezione di una radice d'albero sotto l'asfalto. Prima, avevo trovato il mio posto in un piccolo disagio. Aspettarti con la schiena contro la macchina, osservare i grigi dissolversi, le ombre nettarsi, mettere gli occhi negli occhi di chi imboccava e poi svoltava. Per ogni passaggio, una scossa. Il 10% delle foglie rimaste appese si riversava in aria, nell'indifferenza e ignoranza dell'elemento scatenante. Ad ogni ondata, io mi incatenavo ad una singola foglia. S'ostinava a voltarsi su se stessa, faccia in su, faccia in giu, faccia in su. Ero sicuro che credesse di star cambiando idea. Invece c'era già una aspettativa di destino sotto forma di pavimentazione stradale. Come per me.

Ho spiegato uno straccio verde sul tavolo. Ho preparato due mucchietti, uno di caffè solubile e uno di thé solubile. Ho sparso i grani, ho chiuso gli occhi e li ho raccolti con la lingua. Ho ascoltato la mia schiena socchiudersi all'inverosimile, ho dato attenzione allo sfrigolare delle due bevande nell'atto di reidratarsi. Ho puntellato amarezze, dolcezze e timidezze. Ho sentito l'alchimia scorrermi sotto la pelle, e mi stavo solo facendo un thé. Novecento secondi, le bollicine che si uniscono e si separano e si aggregano di nuovo e gravitano. Ancora più incrinato, ci ho letto la formazione di una galassia. Ho contratto gli occhi e spianato le palpebre, ho sentito belare poi gracidare. Ho un contratto per una malattia. Ho scritto decine di lettere, le ho riempite delle cose peggiori che potessero venirmi in mente per voi tutti miei sconosciuti destinatari. Le avrei avvolte in buste gialle e imbucate e quando mi sarebbero tornate indietro, mi sarebbe stato sconosciuto anche il mittente. Ho chiuso gli occhi e ho preso sonno, ma prima ho capito Chopin. Il sonno mi è caduto dalle mani ed è rotolato sotto il letto e l'ho perso. Ho camminato e incrociato momenti su momenti, sembra che facciano la mia stessa strada, sempre, al contrario. Ho preparato un nido per quando un giorno ritroveremo quel sonno e ne rideremo. Ho pensato adesso la interrompo e le spiego come è bella. Maledetto nido, maledetto intreccio, maledetto sonno, maledetta trivialità, maledetti luoghi, maledetto maledetto, maledette ritrattazioni, maledetto leggero, maledetto spirito. Ho invocato la sospensione della respirazione. Ho scaramanticamente evitato di mostrare i denti. Ho decretato la via più bella della città, ho soffocato la pioggia. Ho riso leggendo abbasso tutti. Ho capito che per lasciare un messaggio le lettere vanno grattate via con le unghie. Ho capito che per portarsi via un messaggio. Non ho capito cosa ci faccio nella tua bocca, se non mordi o non mi sputi. Ho apprezzato la preferenza per i fiori più semplici. Ho spiegato tutto col mio silenzio di prima. Ho aspettato che il freddo ti coprisse le spalle e le gambe. Ho piegato tutto il mio silenzio prima e l'ho chiuso nel niente.

24 novembre 2007

Benvenuto a chi viene per smontarmi

C'è stato un volta un piccolo spicchio di mandarino che si chiamava Pennellope. Un giorno d'inverno, Pennellope andò a fare una passeggiata con i suoi genitori. Aveva appena nevicato e papà Enginobaldo pensò che sarebbe stato bello che la piccola Pennellope vedesse per la prima volta il mondo innevato. Allora mamma Fifirella mise a Pennellope un lungo cappello verde, in cima al quale spuntava un vistoso pon-pon, fatto di tutti i colori dell'arcobaleno. Uscirono dal loro cesto della frutta e si avviarono per le strade della cittadella. Pennellope era meravigliata da tutto: il fiato che le usciva in nuvolette dalla bocca, gli alberi spogli di foglie e con i rami carichi di neve, il sole bianchiccio che le riscaldava la punta del naso. D'improvviso vide un grande e strano omone in mezzo alla neve. Si nascose dietro le gambe di papà Enginobaldo e con la voce tremante chiese:
"Aiuto! Cos'è quello, papà?"
Lui rispose:
"Non devi avere paura, Pennellope, è un pupazzo di neve!"
"Ah... e a cosa serve?"
"A festeggiare l'inverno!"
"Ma cos'ha al posto del naso?"
"Non vedi è una carota... è tua cugina Putrella"
"E' vero! Ciao Putrella!!!" urlò la piccola Pennellope rivolgendosi alla cugina. Putrella la guardò un attimo e le sorrise, poi riprese la sua posa seria da Carota Naso Di Pupazzo Di Neve. Pennellope dichiarò:
"Da grande voglio fare anche io una parte nel pupazzo di neve!"
Ma proprio mentre pronunciava queste parole, due allodole gigantesche, come spuntate dal nulla, si abbatterono su di lei. Mamma Fifirella cominciò ad urlare dal terrore, mentre papà Enginobaldo tentava inutilmente di togliere Pennellope dalle grinfie dei due terribili animali. La prima allodola riuscì solamente ad artigliare il bel cappello di Pennellope, riducendolo in brandelli. La seconda allodola ebbe, ahinoi, più fortuna e infilzò la succosa polpa di Pennellope, si levò in volo e la portò via per sempre dai suoi genitori.
Nessuno sa dove l'allodola portò Pennellope, nè quale destino le fu riservato.
Ancora oggi, tuttavia, le mamme raccontano ai figli la storia di Pennellope, per metterli in guardia e insegnare loro a non diventare mai, mai, spicchietti per le allodole.

11 novembre 2007

Ok. Ok, ok, ok, ok, ok. (Ok). Ok.


  • Ho assaggiato la libertà, e sa di pollo.
  • "E poi c'è la televisione. Non posso interferire con la televisione."
  • Credo che la vita sia come Ikea, piena di false credenze.
  • Ho sempre avuto l'impressione che il corollario fosse quella cosa che avvicina la matematica ad un fiore.
  • Vivo in una stanza perchè non posso permettermi una canzone tutta mia.
  • Nella pronuncia di "troppo", la conta delle "p" è il metro dell'esagerazione.
  • Che nutella sarebbe senza il mondo?
  • Anche io studio filosofia, ma non all'università. Per strada, contromano.
  • Tutto quello che non è strettamente compromettente, lo cancelliamo.
  • La cosa che più sorprende, camminando per venezia, sono gli alberi. Che ci siano alberi.
  • M'illumino di mensole.
  • L'ennesima banalità: Tutti, alla fine, se ne vanno. Resta da decidere se essere uno che abbandona o un abbandonato.
  • Posso essere così vago da farti credere che questa frase sia rivolta a te.

Sei mai stata dentro un abito con un'altra persona? Io no, però ci ho pensato, mi piacerebbe che accadesse prima o poi. Ho qualche maglione abbastanza grande che potrebbe racchiuderci entrambi. Anche se... troveremmo una strana meccanica ad accoglierci. Più opportuno sarebbe indossarlo faccia a faccia, ma poi non potremmo muovere le braccia. Allora dovremmo tirarci su le maniche fino ai gomiti, per avere le mani libere e opposte, come gemelle siamesi unite e abbracciate per la trasmissione del calore. Altrimenti, il mio petto contro la tua schiena e intraprendere gesti all'unisono, l'uno il burattinaio dell'altra, due scheletri ballerini. Non so.


(squilli di una suoneria anonima)
"Pronto"
"Ciao, sono A."
"Ciao"
"Come va?"
"Boh, bene."
"Che mi racconti? Che novità?"
"No, in verità non bene. Sono morto."
"Come?"
"Sì, sono morto. Sai, di solito si risponde -bene- come in un riflesso, anche se non va affatto bene. Tu mi chiedi come va, io dico bene, io ti chiedo come va, tu mi..."
"Vabbè, ho capito"
"...dici bene. E' la formula."
"Se sei morto perchè hai risposto al telefono?"
"Perchè mi hai chiamato tu, che domande"
"Ma i morti non rispondono al telefono!"
"Sei sicuro? A quanti morti hai telefonato ultimamente?"
"Nessuno"
"A uno veramente, me. E infatti ti ho risposto. Come fai a dire che i morti non rispondono se non li chiami mai?"
"Ma è una follia! Perchè dovrei chiamare un morto se so che non può rispondere?"
"A. senti... è la tua logica ad essere sbagliata: se qualcuno non risponde mai al telefono, nè a te nè a nessun altro, allora lo puoi considerare morto. Ma non è detto che un morto non risponda. La morte è una condizione sufficiente, ma non necessaria, al non rispondere al telefono. Pensaci, vedrai che ho ragione."
"Ma... ma... che scherzo di cattivo gusto. Non ti chiamerò mai più, puoi starne sicuro. E non provare a richiamarmi, che non ti rispondo."
"Oh, mi dispiace! Eri giovane, avevi ancora tutta la vita davanti. Condoglianze A."
"Ma vaff..."
(click)


Sopravvivevamo all'errore di quel "noi".
Io ti raccontavo che stavo guidando, e invece impugnavo un grande anello e pestavo i piedi su piccole piattaforme.
Tu mi imponevi pic-nic lungo il confine. Confine tra regione e regione, confine tra un giorno e il precedente, confine tra "sei un angelo" e "c'è un pellicano che crede di essere il mio zaino".
Ci scambiavamo il colore degli occhi, i secondi sull'orologio e le foto fatte agli sconosciuti; poi ancora le foglie con i colori più improvvisati, i numeri di telefono di vecchi amori e il singhiozzo.
Io ti sfidavo: "Sii la stella che sei, fino in fondo, e vedi di cadere da qualche parte".
Tu mi riempivi di sentimenti segnaposto.
Ci riscaldava dentro accumulare oggetti per un bisogno che non avevamo ancora. Il primo fu la teiera da thé, vinta con i punti della benzina, per quella nostra casa che non c'era ancora.
Io cercavo di ipnotizzarti e intrattenevo il tuo respiro.
Tu volevi imparare a piovere, diluviare.
Discutevamo del ruolo della luna nella didattica dei sentimenti.
Io detestavo le tue magliette ingenuamente ironiche.
Tu rifiutavi di passare tra due specchi appesi l'uno di fronte all'altro. "E' pericoloso. Scomparirò." annunciavi.
Ci allacciavamo i bottoni a vicenda, ed era l'unico modo di farci promesse.
I was just a clown who was feeling down.
Tu eri "fermiamoci qui" e "perchè fai così?".
Giocavamo a fare finta di essere lì contro la nostra volontà.
Ha smesso di essere un gioco, poi, quando.

30 ottobre 2007

Delirium Aquarium

Manì le fa una domanda. Non vuole sapere la risposta, ma vuole sentirgliela dire. Hortencia inizia un racconto che dura due isolati, ma lungo come tutta la periferia intorno al nocciolo grinzoso della domanda. Ora Manì non parla, impegnato com'è a chiedersi come manterrà questa promessa infinita. Lei scappa avanti, lui non si ferma a raccogliere gli indizi, si stringe addosso l'impermeabile e si augura di non raggiungerla mai. E' il loro gioco. Si intrufolano in un cinema, o la tana di un enorme insetto. Le pareti devono essere coperte di bassorilievi, altrimenti sono i resti fossili di altre storie come quella di Manì e Hortencia. Si dimenticano l'una dell'altro, mentre i loro volti fanno l'eclisse di fiori che volano via e dello sguardo triste dell'uomo silenzioso che parla attraverso il tempo. Poi una rivoluzione: le risate sono le grida di protesta, le battute scontate sono la mano del boia. La folla è una immensa testa con il mento coperto di sabbia, gli occhi rivolti ad una trappola troppo scontata per non caderne vittima. Senza lasciarsi divorare, i due si fanno cuccioli e scivolano fuori. Hortencia si addormenta, Manì la protegge. Manì si dimentica di tenere fermi gli occhi, Hortencia si sveglia.
"Manì, dove siamo?"
"Sott'acqua"
"Mi fa paura!"
"Dimentica. Vedi quelle luci?"
"Si"
"Sono pesci predatori. Le due luci che portano davanti al muso servono per attirare le prede e per divorarle"
"Avevi detto che non c'era d'aver paura!"
"Siamo già stati mangiati."
"Vuoi dire che..."
"Sì, adesso siamo anche noi pesci predatori"
"Oddio cosa dobbiamo fare? Non so niente di come ci si comporta da pesci"
"Abbiamo un posto in fila, secondo un preciso ordine di grandezza. Avrai visto le figure."
"Riportami a casa"
"Sì. Nasconditi."
Oggi Manì non tocchera Hortencia, perchè pensa che il suo sentimento la contaminerebbe. Le si infilerebbe sotto le unghie e poi dentro le mani, nei lacci del vestito e nel gancio della sua catenina. Se Hortencia gli aprisse la pancia e tirasse fuori i piccoli rotoli di carta quadrettata su cui lui ha scarabocchiato i suoi desideri prima di ingoiarli, le parrebbero così esagerati da finire per credere che lui stia fingendo. Manì ha bevuto latte per tutta la notte, sperando nel bianco. Invece blu qualunque, ovunque. Il desiderio di Manì per Hortencia gli dà il permesso del silenzio.
Allora tutto inizia da un piccolo brivido.

26 ottobre 2007

Scritto perché una macchina lo legga, e solo accidentalmente affinché qualcuno lo esegua

La colonna sonora di tutto questo sarebbe "Supernova Landslide" degli The American Dollar, traccia numero sette dell'album "The Technicolour Sleep". Per ottenere il giusto effetto dovrebbe essere la prima cosa ascoltata dopo il risveglio, ancora prima di sentire la voce di qualcuno, andare direttamente alla canzone. Dovrei anche aggiungerla in coda all'ultima audio-compilazione. Posso mandarvela se volete, tutto in perfetta illegalità. Non è singolare il modo in cui si usa il termine "colonna sonora"? Dal punto di vista del design d'interni scommetto che la Colonna Sonora si adagia sul Tappeto Musicale. Che qualcuno inventi l'Architrave Sinfonica così la facciamo finita.
La colonna sonora di tutto questo sarebbe "Supernova Landslide" degli The American Dollar, traccia numero sette dell'album "The Technicolour Sleep". Dove sono finito? Perchè non scrivo praticamente più? Ah, è colpa di questa canzone. Anche di altre, come lei. Continuo a fare il giro dell'isolato e non mi fermo mai davanti al portone, privo degli attributi necessari per suonare il citofono, diciamo così. Io cerco solo di tirarmi fuori qualcosa che assomigli a questa canzone. Mettere le parole nell'ordine giusto per evocare le stesse tensioni, lo stesso senso di risoluzione, gli angoli ciechi oltre cui si celano ampi viali o vicoli senza uscita, le zone di calma, i furiosi assalti. Una volta era più facile, potevo rompere i giocattoli per vedere come erano fatti dentro. Lo so che è una questione da esteti dei miei stivali, ma quando attacco a percuotere i tasti mi si presenta sotto forma di rampante domanda di senso. E come tutte le ricerche di senso, è questione da "esteta per hobby e per passione".
La colonna sonora di tutto questo sarebbe "Supernova Landslide" degli The American Dollar, traccia numero sette dell'album "The Technicolour Sleep". Ho trattato male due persone. Solo le due persone più importanti della mia presente esistenza, quindi niente di che. Mi domando il perchè di certe mie uscite, a volte. Spesso invece non lo faccio, e combino guai. Dire "mi dispiace" non basta più.
La colonna sonora di tutto questo sarebbe "Supernova Landslide" degli The American Dollar, traccia numero sette dell'album "The Technicolour Sleep". Ho un contenzioso aperto con il tempo. Si nasconde in qualche piega ignota del mondo e io non so dove vada a cacciarsi. Ecco, lo ha fatto di nuovo. Faccio tardi a lavoro.

21 ottobre 2007

Mixtape n.5

30 Seconds to Mars - From yesterday
Chopin - Nocturne no. 1, op. 55
Babyshambles - Carry up on the morning
Cappello a Cilindro - Quel che accade
Chet Baker - My funny valentine (long version)
Chris Botti - Ever since we met
Damien Rice - Me, my yoke and I
Daniele Silvestri - Io fortunatamente
Daniele Silvestri - Occhi da orientale
Giorgio Gaber - Io se fossi Dio
Giorgio Canali - Se viene il lupo
Giorgio Canali - Canzone della tolleranza e dell'amore universale
Giorgio Canali - Fuoco corri con me
Helios - In heaven
Looker - After my divorce
muxu - Journey to the city
Radiohead - True love waits
Radiohead - Idioteque
Radiohead - All I need
saycet - Dreamfactory
Skunk Anansie - Secretly
Suffocate For Fuck Sake - Twenty six and full of plans
The Boggs - Arm in arm (shy child remix)
The Starting Line - Are you alone
The Snake The Cross The Crown - The great american Smokeout
Verdena - Quaranta secondi di niente
Virginiana Miller - La verità sul tennis
The White Stripes - Icky Thump
Nelly Furtado - Maneater
Straylight Run - We'll never leave again
Gregor Samsa - Rock song
Mogwai - Black spider
Emanuel - Cottonomouth
Moneen - The last song I will ever want to sing
The Killers - Indie rock n' roll
Kanye West - Stronger
Plain White T's - Hey there Delilah
Gifts from Enola - Early morning ambulance
Joy Wants Eternity - For we had no road
Moving Mountains - Aphelion
Fabri Fibra - Su le mani
No Doubt - Spiderwebs
No Doubt - Sunday morning
Claude Debussy - Ce qu'a vu le vent d'ouest
Claude Debussy - La cathedrale engloutie
Trentemoller - Take me into your skin
Edit - Battling go-go yubari in downtown L.A.
Alcest - Printemps emeraude
As Cities Burn - The hoard
Battle of Mice - At the base of the giant's throat
Clint Mansell - The last man
Clint Mansell - Tree of life
Clint Mansell - Stay with me
Clint Mansell - Death is a disease
Clint Mansell - Together we will live forever
Cursive - Some red handed slight of hand
Devil Sold His Soul - Dawn of the first day
Do Make Say Think - Horns of a rabbit
Don't Look Back - Farewell to the bright side
Epic45 - The stars in spring
Gallows - Six years
George Doen Screams - Snow Lovers are dacing
Hrsta - Kotori
I Hear Sirens - This is the last time I'll say goodbye
Immanu El - Under your wings I'll hide
Justice - Genesis
Pg.Lost - Yes I am
Pygmy Lush - Hurt Everything
Scraps of Tape - Nashville's got hell to beat
Stars - The beginning after the end
Stars - Take me to the riot
The Angelic Process - Million year summer
The Gathering - Bad movie scene
The Severely Departed - A small divide
The Severely Departed - Thaw
The Severely Departed - Closer to home

E poi qualunque cosa di Eluvium, Stars of the Lid, Helios

10 ottobre 2007

Rainboh

Niente male, questi jeans. Anche la camicia non sarebbe malaccio, se non somigliasse ad una tovaglia da picnic. E poi i bottoni della camicia sono la prima cosa a saltare quando si fa a botte. No, per niente male, questi jeans. E' a causa di due blandi difetti che non si lasciano apprezzare fino alla fine. Primo, sono troppo lunghi. 20 centimetri di risvolto non fanno piacere a nessuno. Secondo, sono blu. Io ho qualche difficoltà a vestire il blu. Perchè ho poca immaginazione. Partorisco associazioni banali. Il blu simboleggia il mare e il cielo. E il mare e il cielo, per me, sono sinonimi di promesse non mantenute. Per il resto, niente male, questi jeans.

Quello che ho in bocca lo sposto contro la guancia sinistra, poi contro la destra. Sputo nel lavandino. L'azzurro chimico del dentifricio è accompagnato da perline di rosso-come-sono-fatto-dentro. Alzo la testa e mi rivolgo allo specchio uno di quei sorrisi forzati, da maniaco. Il sorriso è chiazzato di sangue. Mi faccio ridere ancora di più, stavolta sincero. Adesso che sono solo di nuovo posso smettere questa stupida presunzione di controllo, come un asciugamano dopo la doccia. Il male e il bene nel corso degli eventi non mi riguardano più. Acciuffo due conclusioni, le lego per bene e le traggo a me. Quanto ho da dare, quanto ancora da prendere, quanto sono grandi le mie mani. Forse, se mi metto ad ignorare il tempo con tutte le mie forze, scomparirà. Mentre scalo i piani protetto da un ascensore, nello spazio scuro tra un pianerottolo e l'altro vedo riflesse un paio di occhiaie troppo marcate, mie, prive di contropartita. Come si dice? Ah, sì, grazie.

30 settembre 2007

23 settembre 2007

Direzioni preferenziali per avversare il consorzio umano

Ora che piove si può dire la verità.
E allacciarsi le scarpe in modo convenzionale.
Ora che non piove più posso smettere di ascoltare.
Tolto ciò che c'è di alato in ciò che c'è di malato.
Mao aveva il suo libretto rosso, ma io non sono un gatto quindi tengo una agendina verde per i miei appunti. E tutte queste frasi alte come insetti, dovrei tornare a scrivercele su.
Siamo all'inizio, ma già cauterizzati.
Differenze mediate tra scrivere e scrittura.
Accuse ricamate su tessuti necrotizzanti. Imputare o amputare?
Nuoto in un fiume che non si accorge di me o sto cercando di tenere una sedia in equilibrio su di una gamba sola?
Vuoi una guida o qualcosa che ti indichi la strada.
Che sia un'etica o della segnaletica, non ti importa.

E' strano che proprio in quella occasione io abbia aspettato. Sarei dovuto scendere solo un attimo, fare ciò che ci si aspettava io facessi e risalire subito. Invece mi sono fermato, nell'isola spartitraffico, appoggiato ad un albero. C'era solo una donna di spalle, che si allontanava, tenuta al guinzaglio dal suo cane. E poi eccola, la foglia. Scendeva guardinga e ubriaca. Arriva lenta, mi sono detto. La posso prendere. Invece se la deve essere presa lei, perchè d'improvviso si butta giù a foglia morta. Mi tocca fare due passi di fretta, ma la colgo prima che tocchi terra. E' per metà gialla e per metà croccante. Impolverata e luccicante. Adesso vive con me.

17 settembre 2007

Il mio nome è Harold Crick e quando esamino le pratiche in ufficio sento il suono di un oceano profondo e infinito

Quest'oggi avrei voluto parlarvi di me. Ma abbiamo scoperto che ci sono un sacco di me, tutti diversi, tutti in posti diversi. Ne abbiamo contati fino a sette, pensate un po'. Sarebbe troppo, allora, stare qui a narrarveli tutti. Presto detto, ho deciso quindi di parlarvi di io. Io è facile, un po' orso, dai modi forastici. (Avete visto? Ho detto forastico. L'ho detto perchè ho appena finito di leggere "L'isola di Arturo". Potete stare certi che, se sentite pronunciare quella parola a qualcuno, egli ha da poco voltato l'ultima pagina di quel romanzo.)
Tornando a noi, si diceva:

Io cerca l'amore della sua vita come una superstizione, e anche l'odio della sua vita.
Io, più per curiosità personale che per altro.
Cerca l'indifferenza della sua morte.
Cerca l'amore della vita degli altri.
Gli piacciono anche altre cose che appartengono agli altri.
Ad esempio le cose di carta, con la filigrana in mezzo, che si possono dare in cambio di beni e servizi.
Gli piace il sapore del fumo e l'odore delle sigarette sulle dita e la lieve ebrezza delle boccate di fumo trattenute troppo a lungo, ma gli piace anche sentirsi indipendente.
Gli piacciono le trame sonore epiche ed evocative.
Crede che non si possa vivere per sempre, insieme, ma da soli una speranza c'è.
Non gli piacciono i medici distratti, chi lavora in banca e i maestri svogliati.
Non gli piace essere malato e crede che la malattia sia una colpa e un diritto.
Io crede nel diritto alla colpa.
Non gli piace fare la fila e la gente che si fa aspettare.
Non capisce chi non riesce a ricevere un regalo senza sentire il disagio di doverlo ricambiare.
Mangia lo zucchero filato con sommo gusto, ma io non è il solo.
Va per strada a capo scoperto, quando piove.
Si, ce l'ha l'ombrello.
Ha anche il cappuccio sulla giacca, se volete saperlo.
No, non li usa.
Io è a suo agio anche quando è sporco, o vestito malamente.
Molti pensano di sapere chi sia veramente Io, ma Io si diverte spesso a prenderli di sorpresa.

Ah, e i compiti per casa. Ascoltare "Fuoco corri con me" e "Canzone della tolleranza e dell'amore universale" di Canali, Giorgio. E preparate anche la colonna sonora di "The fountain / L'albero della vita", che poi vi interrogo.

13 settembre 2007

I ricordi sono commestibili come le unghie delle dita maggiori

voglio essere annegato
voglio essere assecondato
voglio essere atterrito
voglio essere ascoltato
voglio essere allontanato
voglio essere avvicinato
voglio essere abbracciato
voglio essere accettato
voglio essere adescato
voglio essere adoperato
voglio essere aperto
voglio essere alato
voglio essere atterrato
voglio essere addobbato
voglio essere accomodato
voglio essere aviotrasportato
voglio essere abbindolato
voglio essere anticipato
voglio essere abbeverato
voglio essere affaticato
voglio essere affranto
voglio essere allenato
voglio essere attaccato
voglio essere arrivato
voglio essere allungato
voglio essere agguantato
voglio essere addolorato
voglio essere annerito
voglio essere ammaestrato
voglio essere attraversato
voglio essere arroventato
voglio essere arenato
voglio essere assonnato
voglio essere aggirato
voglio essere assassinato
voglio essere accreditato
voglio essere ammazzato
voglio essere appagato
voglio essere avventato
voglio essere alleato
voglio essere azzerato
voglio essere avvelenato
voglio essere ammanettato
voglio essere assolto
voglio essere ammattito
voglio essere a.

09 settembre 2007

Il lupo non c'è, però se vuoi crepo io

La chiarezza che solo una notte di settembre può portare. Io vado avanti e i dubbi si fanno ai lato, bisbigliando con rispetto. Mi scoppiano i polpacci e per avanzare ci devo mettere tutta la rabbia e le strettoie tra i denti. Ho sempre una canzone in testa e adesso questa parla bene di tanto niente. Rientro a casa e mi dico che le cose piccole le potrei fare senza pensare, come slacciarmi le scarpe o aprire il frigo. Ma no ma no io voglio esserci. Tanto ho un posto tutto mio dove me ne posso andare quando c'ho lo schifo sul collo che mi cola davanti e dietro. Fa stanco, non trovi? Con i soldi che ho mi ci posso comprare solo altre gabbie. A guardare i muri sembrerebbe di stare ancora coi piedi per terra. Ho la peste, non lo sapevi? Vi chiedo acqua ma ormai non c'è più niente da fare, potete solo starmi lontani. Sono ancora lì stanco, con gli occhi che fanno troppe domande. A volte i libri non sono come quando li avevi iniziati a leggere. Quello non lo puoi toccare, è troppo bello. Poi non è che sono cresciuto è solo che i miei giocattoli hanno smesso di parlare. Ora altre cose parlano, ma io ho un altro nome. Mi impegno quando faccio il morto a galla. Belle le vesti da saltimbanco, metà bianche e metà nere. Ti è stato utile il tempo guadagnato? Suvvia, era solo uno scherzo col mantello. Ma non di noia.

03 settembre 2007

Allthelovelessness

Mi ha tenuto sveglio un lavello
fuori tempo per tutta la notte
ho creduto sanguinasse
ogni goccia aveva un suono diverso
una melodia senza fine
dove alla fine sonnecchia la follia

Ancora da bambino pensavo al contrario delle lampadine. Accese nelle mia stanza in pieno giorno, avrebbero proiettato un cono di oscurità totale. Con dentro me.

Uno è biondo ed ha gli occhi chiari. L'altro, scuro di pelo, gli occhi non li ha. Qualcosa gli brucia nelle orbite e incenerisce tutto ciò su cui posa lo sguardo. Metaforicamente, o forse no. Potrebbero essere due angeli o due demoni o due persone normali. Sembrano troppo normali per essere due persone. Un'ancestrale mitologia deve averli messi qui, l'uno accanto all'altro, in piedi, sotto questo albero dai rami viola che al posto delle foglie ha piume blu. Il biondino è ferito lungo un fianco, e tiene in pressione la ferita, con una mano. Nasconde anche un'altra cicatrice sul collo, sotto una benda.
Dialogano i due.
Occhi di bragia sta gesticolando, lentamente. Si osserva il braccio mentre lo solleva a mezz'aria. Ha la manica sporca di sangue.
Parlano ancora. Sembra importante. Come se il compimento di un male, uno tra i tanti, e di un bene, uno tra i pochi, dipendessero dall'esito di questa discussione.

Mi parlano, ma tutto quello che sento è meta-rumore.

Qualche volta mi immagino una persona che infila una mano nel tritacarne. C'è questa mano che scompare fino al polso dentro la vorace macchina e in fondo la carne trita che viene raccolta e preparata per il ragù.
Qualche volta mi immagino anche come togliere la pelle da una faccia. Io inizierei da una incisione accanto all'orecchio, scenderei in verticale fino a dove si ancora la mascella e ne seguirei la curva fino alla punta del mento. Continuerei simmetricamente, a salire, fino all'altro orecchio, e poi è facile basta seguire l'attaccatura dei capelli.
Potrebbero essere i pensieri di un bambino che rompe il suo giocattolo preferito per vedere com'è fatto dentro.

Possiamo vivere con l'illusione che un cactus non abbia bisogno di un abbraccio, ogni tanto.

Continuano ad arrivarmi cartoline. Vengono dal futuro ed il mittente sono io. O almeno, dovrei essere io. Mi chiedo se, dal momento che tanto sono già arrivate, io debba ancora spedirle al me-passato dal me-futuro. Mi chiedo se il me-futuro che ha spedito le cartoline si è già posto questa domanda. E poi perchè continuo a mandarmi cartoline in bianco e nero?

Mi ero apparecchiato l'anima. Poi qualcuno si è imbucato.

E comunque, sì.

23 agosto 2007

Sarà una canzone di 5 minuti ad uccidermi

#Macrocosmo e microcosmo#
Utopia e imbarazzo:
Un giorno tutti gli uomini saranno uguali.
E non avranno più niente da dirsi.
Una cosa in comune di troppo:
Siamo uguali io e te. E non abbiamo niente da dirci.


-Mi farebbe piacere ricevere una lettera da te
disse l'ombra dell'uomo solitario.
-Certe cose vengono meglio quando sono spontanee
rispose la luce proveniente dalla finestra illuminata.
****
-Mi avevi già visto passare, vero?
-Cosa?
-No, niente
-Comunque sì
****
-Di lettere ne ho scritte molte
-Di cosa parlavano?
-Amore. O tassi d'interesse. Non ricordo.
-E ci hai mai creduto?
-All'amore o ai tassi?
-Importa in cosa credi, se credi in qualcosa?
-Direi di no
-E quindi?
-So solo che le ho firmate tutte, quelle lettere
-...
-Ed erano tutte anonime

21 agosto 2007

I concetti fondamentali del condimento del surimi

Al crepuscolo, insonne, sulla cresta più alta di una collina. E' in funzione una giostra che sporca l'aria con le sue luminarie gialle ed arancioni. Nell'uragano di seggiolini che tiene legati a sè, infestano e siedono solo uomini adulti, scalzi, coperti da una tunica lattea e derubati della vista da una benda nera. Arriva il buio della notte, l'equivoco oscuro, senza farsi annunciare. Ora la giostra è spenta, dorme, i tentacoli pendono senza volontà alcuna lungo i fianchi. Gli uomini si sono liberati, e si muovono tutti verso di me. Non riesco più a distinguerli, sento l'erba venire schiacciata, trattenere il respiro, sempre più vicina, le bocche che si riempiono di saliva. I primi mi sono già addosso. Sono inghiottito.

Nell'elenco dei sintomi della depressione è incluso quello di sentirsi depressi quando si legge l'elenco dei sintomi della depressione.

Proprio per quella mattina Dio aveva convocato il Giudizio Universale. E proprio la sera prima io avevo dimenticato di puntare la sveglia. A ripensarci, fu sciocco credere di poter dormire un poco di più, almeno ora che era giunta la fine dei tempi. Fatto sta che dormii troppo, e me lo persi. Morale della favola: tutti vennero assunti in cielo, ed io restai disoccupato. Per mia fortuna incontrai un imprenditore, un tipo dall'aspetto caprino e dall'alito sulfureo.
Ora ho un posto fisso, in un locale underground.
Molto underground.

Mi seguiva sulla spiaggia, calpestando le mie impronte. Io ho i piedi più grandi, quindi non deve essere stato difficile. Quando me ne sono accorto ho preso a saltare, girare su me stesso, ballare improbabile. Siamo scoppiati a ridere, per colpa mia.

Un piatto che si riempie di segreti freddi, questo il mondo.
Con gli occhi chiusi, mandiamo giù.
Raggiungono l'inferno e lo fanno singhiozzare.
Gli ombrelli cuciti con la nostra pelle.
Servono a riparare dalla pioggia spremuta dei nostri umori.
Allora il vuoto dentro si fa grotta,
dove le lacrime filtrano lente, progettando stalattiti.
Ogni dente propaga le sue radici, e cresce albero del dolore.
Maturano frutti lucenti, esangui, marci e osceni.
Dolci bulbi oculari da succhiare e sputare.
In un luogo simile avevo la mia casa.
Oggi è stata seppellita, mentre ancora ringhiava.

16 agosto 2007

La neve esplosa

Sto seduto su questa poltrona rosso scuro, bordò, amaranto, granata, vinaccia, che ne so. Bassa, squadrata, macchiata del sudore del culo di chissà chi, mi sega la schiena in due.
Fumo, che mi frega.
Camel.
Due tizi, seduti su un divanetto accanto a me, ci danno di limone. Apparizioni di lingua in religioso sciacquettio, pesci rossi in un abbeveratoio fangoso.
Mi si avvicina una ragazza.
Non ha i capelli e nemmeno le sopracciglia. Mi si mette accanto, con due dita mi toglie la sigaretta di bocca, dà un tiro, ce la rinfila.
"Va tutto bene".
Se ne torna nel nulla sfilacciato da cui era uscita.
Chissà che sguardo da coglioncello, mi direi se mi vedessi adesso. Allora mi impongo di guardare altrove.
Una volta mi lamentavo della mancanza di ragazze così così. Dove le tengono nascoste le bruttine?
Un tipo sul palco piglia in mano un jack e prova a infilarselo nel basso. Dall'altoparlante esce prima un grigio fzzzz e poi un lurido stack. Si vede che gli piace, visto che lo tira fuori e ci riprova un altro paio di volte. Le mie orecchie lo mandano sinceramente a fanculo.
Una volta c'avevo ragione.
Non so a che cazzo pensare.
Allora cerco di autoconvincermi di essere fuori posto, di sentirmi a disagio, ma non funziona. Mi canto addosso Creep dei Radiohead, rigorosamente in versione acustica.
What the hell am I doing here?
Ci sono le zanzariere alle finestre.
I don't belong here.
Il che non impedisce alla sala di riempirsi di mosche. Ce ne sono giusto due che si stanno gustosamente ammucchiando sul mio bracciolo sinistro. La schifo-mosca di sopra si sfrega le mani. Facciamo collegamenti scontati, dai, ma mi viene da pensare alle api. Dentro l'alveare, comunicano alle altre api la posizione di un fiore lontano attraverso uno strano balletto. Me l'ha insegnato Sua Ignoranza la Tv.
A nord ovest, vola 14m e poi un terzo di giro intorno all'albero.
Lo dicono percorrendo un invisibile labirinto. Allora cerco con lo sguardo una figura femminile consona. Va bene questa, vitino da vespa, toppino giallo. Si muove come se fosse in preda alla febbre emorragica davanti ai bagni chimici dell'Oktoberfest. Che cosa mi vuoi dire, donna Maia? Dove devo andare a cercare il mio sacro pistillo quotidiano? Spero fuori di qui. No, neanche la parte di quello che non ce la fa più mi riesce.
Ma che cazzo significa va tutto bene?

03 agosto 2007

Non c'è Dio che tenga Sei tu per me bestemmia

Non preoccupato, desolato. Che tedio preparare il bagaglio. L'acetilazione è il processo cui si sottopone il legno affinchè non assorba eccessiva umidità. L'acqua della doccia si stacca dal corpo all'altezza degli occhi. Vedo le gocce allontanarsi, farsi piccole, circoscrivere lo spazio in cui mi posso muovere in sicurezza. Era un problema con la messa a fuoco, per questo mi sembrava la scena di un film. Voglio vedere Heimat, Decalogo 6, Tideland, Lezioni di piano, La doppia vita di Veronica, Miriam si sveglia a mezzanotte. Insieme sarebbe meglio. E comunque quello non era bordeaux. Perchè un giorno ti lascerò un fantasma che ti prenderà per mano e ti accompagnerà attraverso l'estate.

Devo decidere cosa dimenticarmi.

Guidavo forte la macchina della banalità poi sei arrivata tu mio guard-rail e io ho perso il controllo e ho accelerato e mi sono schiantato e sono volato fuori attraversando il parabrezza mille schegge mille gocce una rete divisa negli spazi tra le maglie di una calza tutte intorno sparse col sangue sull'asfalto e i rivoli nei dossi. Catapultato e salvo Grazie.

Toccare e saggiare il punto di rottura. Reiterare, fino a compimento del danno. Ora sì, ti vedo priva del resto intorno. Mi dispiace, non mi dispiace, sì, no, bianco, nero, virato viola. Una parola così soffice che sembra si spezzi se dovessi pronuciarla. Credetti di strappare una rosa e mi trovai le mani strette nell'abbraccio del filo spinato. Tiravo appresso a me la sufficenza come un carretto che lasciava il suo tracciato nella neve. L'ombelico è un vanto, la prima cicatrice, aggiunge qualcosa al portamento.

Senza, vado e non so altro.

25 luglio 2007

Succo di fretta

E' tornato l'affanno. Quella sensazione di perpetuo inseguirmi. Quel mio scodinzolarmi davanti al muso. Il pensiero che edifica cento edifici, progetti di cose da fare, persone da incontrare per la prima volta, esperienze da registrare, ancora incontri per l'ennesima prima volta. Tutto messo su carta, un piano dettagliato. Ma il corpo non segue. Il ritorno a casa, la testa lenta e le braccia pesanti, occhi che ad ogni battere fanno sempre più fatica a tornare aperti, lo so dovrei, ma no no non ce la faccio, domani promesso sì domani, recupererò. Il corpo rincorre la mente. Mi rincorro. Poi eventi inaspettati, sgradevoli contrattempi, meravigliose coincidenze. La vita che capita, ma che non era in programma. Che occupa il corpo in maniere non previste. E il pensiero che deve ricondurre tutto ai piani originali. Far collimare, che ci vuole, sarà facile; un nuovo paradigma e tutto sarà assimilato. La mente rincorre il corpo. Mi rincorro. Qualcosa deve cambiare.

Avessi una coda da sventolare e far leggere agli altri! Invece mi è stato dato un sorriso che non so usare.

A volte interrompo la lettura di un libro e resto imbambolato a guardare la pagina aperta. Allora le lettere scompaiono e dagli spazi bianchi tra le righe e dai contorni delle parole emergono figure prima invisibili. Spesso sono semplici suggestioni geometriche, come cerchi o triangoli. Più raramente dei volti stilizzati o figure di animali. In una occasione ho anche creduto di vedere un rudimentale paesaggio.

Acqua che scivola da una grondaia rossa e batte sorda sull'asfalto. La scambio per il ritmo di una musica remota.

E' un vecchio foglio. La carta è ingiallita, la quadrettatura sbiadita. E un foglio per raccoglitori ad anelli, sul lato ci sono due fori di mezzo centimetro. Sul bordo di uno dei buchi è rimasto attaccato un cerchiolino di carta, evirato da un qualche tipo di meccanismo rilegatore, ma dimenticato lì. Il perimetro è circondato dalla sottile peluria della carta strappata. A metà, lungo la linea di piega del foglio, c'è un minuscolo rigonfiamento, simbolo delle centinaia di volte in cui è stato piegato e dispiegato. In un angolo la superficie della carta si fa grinzosa, forse una mano emozionata ha stretto quel lembo con troppo ardore. Dove le gocce hanno baciato il foglio, l'inchiostro si è spanso in macchie diafane dai bordi frastagliati, come meduse azzurre sospese in un'enormità lattiginosa. Negli stessi tratti la scrittura si fa indecifrabile, le grazie della bella grafia corsiva iniziano a gonfiarsi e, prossimo agli abissi più profondi, ogni simbolo si confonde e fa misterioso. Ritenne giusto imparare a memoria non solo quelle parole e il loro suono, ma anche il corpo su cui erano state tatuate: per incatenare il ricordo alla gabbia in cui furono imprigionate, insieme al suo futuro.

Incastrati.
Le nostre teste accanto.
Orecchio contro orecchio, reciproci.
Denti di un ingranaggio da immaginare.
Inseriti ognuno nella fessura dell'altro,
una spalla sopra una testa,
una testa sopra una spalla.
Uno di noi due,
e non ti dirò chi,
è capovolto.
Leggeri particolari, è chiaro:
un lieve imporporarsi del viso,
bizzarro ricadere della stoffa dei vestiti,
lo sguardo stretto e la tensione
dei muscoli della mascella e del collo.
Stupida posa, per una fotografia.

19 luglio 2007

A pelle dritta

Fotografare è inzuppare nello spettro del visibile, fare la scarpetta in un piatto di radiazioni al sugo, pulirsi i lati della bocca con un tovagliolo fotosensibile. Resi simili ed unici dalla capacità con cui riflettiamo la luce, non avevamo pensato di essere ad immagine e somiglianza, nella somiglianza alle immagini, di un Dio specchio, e il paradiso si contempla ogni mattina, in bagno, sopra il lavandino. Non puoi vedere Dio se lui è lo specchio perfetto: noi siamo quelli che veniamo in tutte le foto con gli occhi chiusi. Testimonianza di cecità. La più grande espressione di conforto che mi sia mai sentito dire è stata: "la gente non vede".

Di quel sogno ricordo solo le dita che si staccano dalle mie mani e scappano via, strisciando come bruchi. Ed io mentre mi avvito la pancia, con tanto di cacciavite e viti di metallo da 5cm.

Ha occhi grandi, grandi come cattedrali. Le ciglia travestite da guglie, che accompagnano via lo sguardo. Ti guarda e pensi che la tua immagine risuoni lì dentro come un'eco, che si rifletta due, tre, quattro volte in copie di te sempre più brevi e indecifrabili e alla fine vada a nascondersi in un angolo buio. Un giorno, un ocularcheologo paziente e certosino ti scoverà, con uno strumento ipersensibile, eco di eco.
Due nei gemelli sulla spalla sinistra, particelle che gravitano l'una intorno all'altra assecondando qualche misteriosa, ma sfrenata, forza di attrazione.
I capelli sono l'opera di Efesto: spire di ossidiana forgiate nello stomaco ribollente della terra.
I difetti più evidenti: il labbro superiore spicca dalle curve del volto con violenza -come un singhiozzo nella grazia- e gli incavi ai lati del tendine dietro la caviglia, quasi invisibili.
Le orecchie buffe.
I segreti nascosti nella pelle levigata e fragrante, quante pozioni e incantesimi!
Si addormenta e una vena sopra la clavicola prende a sussultare in modo sconclusionato, dimentica del ritmo del respiro e delle pulsioni del cuore. Sogna e piega leggermente le dita, in piccoli sussulti. Il ritmico alzarsi e abbassarsi delle ciglia rivela il moto lento degli occhi all'interno delle palpebre chiuse, ricorda il beccheggiare elegante di una nave. Le sopracciglia si increspano, come farebbe la piuma di un gabbiano scossa dal vento, messa a pennacchio di un castello di sabbia dal gioco di un bambino; lo sguardo si fa corrucciato, appena amaro.
Finchè non appariranno nuove stelle, sarà sempre pieno di X.

Ogni bisogno sboccia dall'incontro di due sogni.
Ogni volta che un cuore si spezza, raddoppia la sua capacità di amare e dimezza l'intesità con cui può farlo: il sentimento è una cassetta di regoli.

11 luglio 2007

(mondo rettile) Innocenza e squame

Insostenibili, tutte le distanze dopo i 30cm.
Ogni misura inferiore, di 30cm troppo grande.
Violabile la legge di impenetrabilità dei corpi.
Due corpi solidi non possono occupare lo stesso spazio nello stesso istante, recita.
A meno che non siano i nostri, sussurra.

Sono isole, celle, che galleggiano in un liquido trasparente. Vengono a contatto, estemporanee, con lacci, stringhe, trecce, ragnatele, nodi, tessiture sottili. A volta riescono a decodificare quello che incontrano, a volte no. Da un singolo filo nasce un'idea, una sensazione, un pensiero semplice. Nelle trecce ci sono emozioni più convolute, dalle quali non si divincolano faticose le componenti prime. Rivelazioni e trappole logiche emergono invece dalle strutture a ragnatela, dove tutte le linee convergono verso un centro, un gorgo, insieme a tratteggi ortogonali con i quali sono possibili ardite associazioni di idee. E' con linee come queste che tracciamo figure che non rappresentano niente.

Un santo apocrifo vestito di nero, pronto a comandare una rivoluzione.
Un grappolo d'uva scolpito in pietre preziose, opalescenti, con le asperità sfumate dal lavorio sonnolento del mare. Sollevato da una mano nera, spinto verso labbra bianche.
Stiamo a guardare le stelle e l'apparenza dell'universo ci muore addosso. La crosta terrestre serve allora a sanare una ferita antica. Le nuvole sono macchie di sangue.
Non posso più sorridere perchè ho la bocca colma di sabbia e non intendo farne cadere un granello. Mio latte, il fango.

Avverti che non tornerai. Distenditi su un letto bianco, come l'orizzonte, di cui non si veda la fine. Poggia la testa su un grazioso cuscino, decorato con ampie strisce di tessuto arancione e rosa. Accavalla le gambe, e con il piede che dondola a mezz'aria, reggi un margherita dal lungo stelo ruvido. Nascondi la faccia tra i capelli. Sogna.

04 luglio 2007

Compassione per il lato B delle audiocassette e dell'estate

Julian è un bambino, e gli piace raccontare storie. Non si interessa ai giochi dei suoi coetanei, non vede che divertimento ci possa essere in un mondo con delle regole sempre uguali, come quello del gioco, come quello dei grandi. Nelle sue storie le regole cambiano sempre, e una storia non si ripete mai due volte nello stesso modo. A volte inizia a raccontare e gli altri bambini gli si fanno intorno e lo ascoltano in silenzio, a volte facendo domande senza importanza. Nelle storie di Julian gli uomini non sono uomini, gli animali non sono animali, nella magia non c'è nulla di magico e il tempo non ha bisogno di procedere in un verso solo. Una volta aveva sentito dire a suo padre che "il tempo scorre nel suo letto come un fiume". E a Julian era sembrata un'enorme sciocchezza perchè nelle sue storie i fiumi potevano anche fermarsi, tornare indietro, scomparire e volare, amare e rincorrersi. Dei personaggi che vivevano con lui, nelle sue storie, Julian non aveva paura. Ma gli altri bambini sì. A volte raccontava storie terribili, piene di dettagli sconvolgenti, semplicemente come gli si presentavano alla finestra dei suoi pensieri. E il suo piccolo auditorio tornava a casa turbato, a volte in lacrime, col sonno infestato da incubi per molte notti a seguire. Quando i genitori di uno di questi marmocchi riusciva a estorcere dalla bocca del figlio cosa fosse a tormentarlo, questi correvano a lamentarsi col padre di Julian, chiedendosi dove un ragazzo tanto giovane e per bene potesse aver udito storie di tal genere e lasciando alle malelingue il compito di dare una risposta. Il padre di Julian, uomo religioso e pieno di quei sani principi che riescono a distruggere un'esistenza, prese a riempirgli la stanza di crocefissi e a batterlo devotamente. Lo costringeva a imparare a memoria i passi della Bibbia che preferiva, sperando che lo facessero rinsavire. Non si accorse che invece fecero l'effetto di un soffio di vento contro una scintilla, promessa d'incendio. Dopo la tristezza di Julian, dopo la mortificazione delle sue storie, tante cose sono cambiate. Come in quel suo racconto, in cui c'era un lombrico che, ad ognuna di quelle onde che sono il passo di un lombrico, diceva "cambia, cambia, cambia" e non smise mai. Come quella volta in cui egli disse "Incubi, fantasmi, scheletri, mostri e sogni, regali, feste, musica sono cibo fatto con la carne dello stesso animale".

27 giugno 2007

Poi mi giro e mangio un albero

Specchietto riassuntivo di una settimana guadata dove il fondale è più basso e la corrente meno veemente.
Specchietto per allodole personali, che ti svolazzano nel petto/gabbietta di metallo, niente di particolarmente acuto, figuriamoci.
Mi prendo una pausa da questa storia del "dormire", un'altra di quelle mode passeggere pompate dallo spirito di emulazione. (Lo spirito di fare come i muli. Tirare avanti finchè non crepi. Impuntarti finchè non crepi. L'elogio della fatica e di non fare quello che ti dicono di fare. Concerto di legnate sulla groppa.)
Una frase che mi è venuta in mente: Polluzioni industriali notturne.
Un'altra frase che mi è venuta in mente: Maledetta maladonna.
Non sono proprio frasi, più simili a molecole linguistiche.
C'è il lettore immaginario che chiede: ma come ti senti? E lo scrittore immaginario risponde: C'è una macchina rossa ferma sui binari di una ferrovia sesquipedale. Sinistra, non arriva alcun treno. Destra, come sinistra. Io sono illanguidito, all'interno dell'autoveicolo in sosta non autorizzata in prossimità di passaggio a livello ferroviario non preannunciato da segnale luminoso o sonoro o croce di sant'andrea. Mi acciambello sonnolento sul sedile del passeggero. Presagio di pericolo nel dormiveglia: se mi addormento capiterà qualcosa di terribile. Mi addormento lo stesso.
E poi ho pensato che ci sono quattro tartarughe in frac che camminano in posizione eretta e portano sulle spalle la mia bara vuota. E' mia nonostante la vuotezza, la vuotezza particolare da me. Il tutto accompagnato da una vibrante melodia per basso e batteria, dall'incedere marziale. Non trasuda nessuna emozione dalle facce delle tartarughe, probabilmente perchè sono tartarughe con la faccia da tartarughe. E stranamente non portano gli occhiali.
Ancora quei botta e risposta immaginari. Ormai li tratto alla stregua di tranelli, o lava-vetri nei-miei-pensieri-attaccabrighe. Testa pensante? ma quale pensante e pensante. Pesante, al massimo. Avessi sul resto del corpo i muscoli che ho sul collo. Ho il collo lungo, io. Diversa cosa è saperla lunga.
Ti vedo lontano. Ti sento lontano. Escludendo tatto e gusto, frenati dalla necessità del contatto, come si ti posso odorare lontano?
Ero in macchina, aspettavo il verde. Piegavo la testa perchè la mia macchina è bassa e io sono alto e se mi infilo troppo sotto il semaforo non lo vedo più. Alla ragazza sotto il mare di capelli corvini, dagli occhi circondati con la notte, con la maglia verde dalle spalline vaporose, che era a bordo del 310, in piazzale 21 aprile, alle 18:30 di martedì 26 giugno 2007, mentre guardava il cielo, volevo dire: ciao. Lo volevo dire minuscolo.

21 giugno 2007

La notte che fummo inventati

Ho voglia di correre tanto, e come succede ai maratoneti, che il mio corpo prenda a mangiare se stesso per sopravvivere allo sforzo.
L'unione di tutto ciò che è ironico e tutto ciò che è vero.
Le foto fatte insieme alla gente famosa sono la prova di quanto poco stimi te stesso importante.
Sarai pure intelligente, ma con che criterio scegli le persone da tenerti accanto? Che poi giudicare qualcuno dalle persone di cui si circonda è impossibile, nascono solo paradossi.
Il sonno della regione genera mostri architettonici.
Io sono la gomma, tu la colla.
Mi disprezzo. Mi sputo in bocca da solo.
Ancora non posso scrivere una storia; prima mangerei il mondo.
Potrei spiegarti come mi sento, ma dovrei prenderti a pugni nello stomaco.
Sono arrabbiato. E non mi passa.
Questa era una pelle, questo era uno sfogo.

17 giugno 2007

Imbratto carte a tradimento con nuvole a mano libera

Scappavo da piccole gomitate per farmi capire.
La disapparenza inganna. Non parla, muta, cambia.
L'intorno si stacca a pezzi come intonaco.
Rimane il centro, luogo della perdita.
Occhi bassi.
Scaffalature metalliche per catalogare pensieri.
Facciamo pulizia.
Ripostiglio dei ricordi a lungo termine.
Aspirapolvere.
Nessuna pietà.
Piccola preoccupazione, non guardarmi con quegli occhi.
Sovrappensieri incrostati.
Pensieri trasparenti e grandi come biglie.
Lividi e giocattoli dimenticati.
Che traffico, nel risucchio.
Hai spina dorsale, figliolo?
Allora fai fuori quella bottiglia di mandarinetto.
Tsk, medicina di basso profilo.
Non aggiustato poichè non rotto.
Polverone, diversivo per qualcuno che fugge.
Polverone, accordo di polmoni violentati.
C'erano le parole e qualcuno che le sposava.
O taccia per sempre: sì, ma come?
Perchè l'approccio peggiore si moltiplica e si moltiplica?
E si moltiplica e si moltiplica e si moltiplica?
Mi sono svegliato con un brusio nella testa.
Credevo fosse una zanzara.
La zanzara sicura che verrà uccisa.
Ma non resiste al richiamo della carne.
Ci diamo pacche sulle spalle per le stelle morenti.
Invece era il telescopio che stava per morire.
Torta sul sedile posteriore.
Il traffico la fa esplodere.
Emicrania in briciole: due schegge.
Una capriola è domani.
Fanne un'altra è dopodomani.
Con una sete brutta come la fame.
Addosso:
La leggerezza delle spalle di una trapezista di Berlino.
Dentro:
Lussuria per nuova ironia.
Il futuro della nazione.
Letto nelle viscere del Presidente.
Fenomenale mutaforme, vali meno di un avvocato.
Ai blocchi di partenza pronti ad erompere in lacrime.
L'oceano non è un vantaggio.
Da consumarsi preferibilmente entro: vade retro.
Che se io sono una cattiva notizia ...
... tu menti.

12 giugno 2007

L’atto respiratorio non va mai forzato immaginando di odorare un fiore

Quando il caccia da combattimento ruppe il muro del suono, il pilota fu poi costretto a ripagarlo.

C'è stato un tempo in cui riuscivo a stare tutto nella vasca da bagno. E' durato finchè sono stato piccolo. Nella vasca piena, potevo lasciarmi scivolare dentro e fingere di essere sempre vissuto là, sott'acqua. Inspiravo, e galleggiavo; Espiravo, e andavo giù. Il rumore della tv, trasportato dalle mura di casa mia, arrivava peculiare e confuso fin nel fondo di quel lago ingabbiato di porcellana. Quel suono camuffato e l'aria piena di vapore, che respirare era quasi doloroso, sono i ricordi di tante domeniche pomeriggio. E il soffocato senso di colpa per i compiti non fatti, ovviamente. Mi ricordo la prima volta che, con la testa completamente immersa, ebbi il coraggio di aprire le palpebre. Non concepivo l'idea che qualcosa potesse toccare i miei occhi: là fuori, nel mondo dell'aria, sarebbe stato inconcepibile. Mi ricordo la debole delusione di riconoscere la lampada del bagno, immagine traballante, e di non scoprire niente di prima invisibile.

Orogenesi, parte I: La collina nasce dall'invidia della terra per le onde del mare.

E' successo che giorni fa mi sono meravigliato per l'operosità inascoltata di una colonia di formiche, sopra un'aiuola spartitraffico inaridita. Ma solo perchè ero bloccato dal traffico e alla guida della macchina dietro la mia c'era una ragazza carina: io mi facevo bello con pensieri cosmologici.

Charlie Brown Nun Te Temo.

Sulle pareti di casa tua ci sono solo quadri e stampe di barche, perchè piacciono a tuo padre. Invece tua madre mi chiede di rimetterle tutti gli orologi di casa, quando arriva l'ora legale. Perchè "tu sei alto". E le sveglie? E il videoregistratore? Perchè "tu ci capisci". Ah, ok. In camera tua, chi-lo-avrebbe-mai-detto, ci sono le tue foto. Quasi tutta la tua vita oltre me. Un'ombra di gelosia. Che poi le foto sul muro sono qualcosa che io non architetterei mai. Mi sembrerebbe di far finta di avere bei ricordi. Però, se me lo dici tu, io ci credo. Tuo fratello non c'è mai, e quando c'è, non c'è lo stesso.
Tu, invece, non esisti.
Sei l'immagine evocata da tutte quelle canzoni in inglese che pure se non hanno proprio senso, le canti lo stesso. Ho ricordi di cose che non sono successe a me.

07 giugno 2007

Sono sveglio, ma è tutta una messa in scena

Oh mio Dio, un cigno gigante! Accidenti, devo farmi un altro goccio, non ci posso credere. Come è possibile che una cosa del genere giri normalmente in città e nessuno abbia fatto ancora niente? Nessuno che urla, nessuno che fugge terrorizzata, nessuno che chiama la polizia, i pompieri, lo zoo, la guardia civile. Possibile che me ne sia accorto solo io? Mi sono perso qualcosa forse, o adesso è diventato normale incontrare nelle strade del centro un cigno di 4 metri? Che sia una allucinazione? No, non è possibile, è troppo reale. Cazzo, che mostro. Fa tremare la terra ad ogni passo, e certo che io mi tengo ben lontano! Non sembra poi così tanto innocuo ed elegante, in queste proporzioni. Anzi, quegli occhi neri senza vita mi fanno quasi paura. Sembrano quelli di uno squalo. Dio, sta venendo da questa parte. Mi deve aver puntato! Ecco, adesso si è messo pure a fare questo verso terrificante. Devo andarmene al più presto. Cazzo cazzo cazzo.

Un altro brutto caso di cattiva analogia.
Scrivere è come dare un pugno contro il muro quando sei in collera: non cambia nulla, ma ti fa sentire meglio. E il giorno dopo, ci ripensi e ti sembra stupido.

Trafitto da una punta di esibizionismo.

E poi arriva il giorno che la banalità ti prende per stanchezza. E vince lei.

Le pareti del vicolo, color terra, così strette. Sembrano due mondi che si sfiorano, che giocano a scommettiamo-che-mi-baci-prima-tu / credo-proprio-di-no. I mattoni in rilievo contro la schiena, come la gabbia toracica di un dinosauro infinito. Il nostro uomo, appoggiato al muro, dentro il suo cappotto nero, dietro il suo bavero sollevato, con la sigaretta in bocca, spenta. Pesca l'accendino da una tasca interna, piega la testa. Una smorfia di equilibrio e suzione, la fiamma illumina una maschera da decaduto. Torna a rilassarsi, composto. Si volta, si accorge di noi. Si avvicina.

03 giugno 2007

Sublime, mi diedero del maledetto ed accettai

Qui comincia la negazione del mondo. Ancora una volta mai così giovane. I'm just a boy. And what do you expect from just a boy? Credo di averti visto sorridere. Lo sai quanto conta? E' che non so da dove cominciare a spiegarti quanto sei importante. Quante parole non dette? Va tutto bene, va tutto bene, va tutto bene. It's not ok. Io faccio così ed è il modo sbagliato. Io faccio sbagli ed è un modo così. Ma allora è un vizio? Grazie, lo prendo come un insulto. Sì, ahaha, che ridere, è divertente. deh. In una notte di parole mezz'esatte, mezzanotte di parole storte, estorte. La vendita delle intransigenze.

Il mattino ha loro in bocca e li mastica e li sputa. Non è loro tutto quel che luccica, ma loro se lo prendono lo stesso. Ma non lo farei lo stesso, per tutti i loro del mondo.

Il silenzio è un proiettile. Per questo un colpo di pistola fa tanto rumore. Lancia il silenzio ad una velocità abbastanza alta e risuonerà fin dove non ti immagini neanche. Fuori piove, ma non a dirotto, e sembra dire: scusate, permesso. Le nuvole omertose coprono tutto, le nuvole curiose scoprono tutto, ed è impossibile immaginare che non siano ovunque, sempre. Il sole si nasconde perchè si allarga su tutta la superficie possibile. Dove celerai le tue cose, se non in bella vista? Così tacerai, bella vista. Ricordami, ma non oggi. I tuoi occhi, falli brillare. Non come gioielli d'oro in un giorno di sole, ma come una mina inesplosa di una guerra dimenticata. Il mio legittimo diritto alla superficialità, mai esercitato. Alla guida di un esercito di templi, inerti ma intoccabili. Un giorno, casa mia sarà piena di chiunque. Ed io pensando il contrario di ogni cosa credevo di dire ironia e invece dicevo eresia.

La bellezza sta negli occhi di legge, non sulla faccia di chi scrive. Per fortuna?

28 maggio 2007

Tropico del Capriolo, Tropico dell'Epatite

Dagli atti degli Apostati
-Vangeli Ippogrifi

Mentre Gesù attraversava il fiume, la barca che portava Gesù attraversava il fiume. Giunto sulla riva opposta a quella cui era giunto, gli portarono un infermo. Gesù disse: "Riportatelo indietro". L'infermo rosicò. Gesù disse: "Portatemi un muto". I discepoli gli portarono un muto, ma rosicarono, perchè il muto poteva camminare sulle sue gambe. Il muto disse: "Signore, io sono il muto che stavi cercando". Gesù rispose: "Non è vero". Il muto ribattè: "Sì". Gesù insistette "No". Il muto rimase in silenzio. Gesù non rispose e si mise a scrivere in terra con un dito. I discepoli chiesero: "Gesù, dacci una prova della grandezza del Signore". Gesù fece finta di non aver sentito. Gesù vide che erano molto malati. Mentre diceva loro queste cose, la donna guarì. Tutti si chiesero da dove fosse giunta quella donna. Gesù le disse "Seguimi", e la donna lo seguì. Pietro le disse "Seguimi, e la donna lo seguì. Matteo le disse "Seguimi", e la donna lo seguì. Anche il muto le disse "Seguimi", e la donna lo seguì. E se ne sparse la fama in tutta quella regione.

27 maggio 2007

Divento silenzio

Ora che sono una persona qualsiasi. Cerco un film, la scena di un film, una inquadratura per metà bianca e per metà nera, una frase nella scena di un film che mi salvi, che da quel momento non è più stata la stessa cosa. Another line without a hook, un'altra serratura alla quale appoggiare l'occhio destro e nella quale sorprendermi a spiare me stesso. Non è un trucco da risolversi con un semplice specchio. Poi c'è questo uomo, in giacca grigia e cravatta rossa, che se ne sta come morto sul marciapiede. Gli occhi aperti senza incrociare lo sguardo di nessuno, probabilmente aspetta che qualcuno tracci con un gesso la sua sagoma sull'asfalto. Una volta che sarà circoscritto nei suoi nuovi confini, se ne potrà anche andare. Ci sarà sempre una mappa che parlerà al posto suo. Intanto passano anche quattro suore in fila indiana, la seconda alza lo sguardo in questa direzione. Sopra lo sguardo, alza anche un sopracciglio, ma con una incredulità che mi passa sopra la testa sibilante come un proiettile, mi supera, destinata ad un punto fuori me, oltre me.

Al posto del cuore ho una mela verde. Non il cuore metafisico delle sentimenta, ma il pugno rosso di carne sul banco del macellaio. Invece che succhiare e soffiare via sangue, trema di luce in una direzione alla volta, come un faro, come la spirale di scale contro la parete interna del faro, per arrivare in cima.

... e accidenti ai lati opposti di un tavolo troppo grande.

Loro vedono che ci salutiamo, semplicemente.
Magari con un gesto tra le mani.
Non si accorgono che siamo lassù, in alto.
Che da così lontano tutto appare perfetto.
Non te lo chiedi neanche come è possibile,
che due forme possano allinearsi così semplicemente.
Un puzzle risolto in ogni suo pezzo.
Bastano gli occhi che si corrispondono.
Semplice quello che non è stato semplice mai, prima.

23 maggio 2007

Di quando Amore divenne un avverbio

Nel mondo c'è la tribù di chi mette gli Afterhours in un posto speciale, in un recinto separato da tutte le altre band. Io sento di farne parte: ogni canzone degli after è un sentimento nuovo che, prima di ascoltarla, non sapevo di poter provare. Dopo -after- averla sentita, posso amare qualcuno anche di quella canzone.

Guidava con una sola mano sul volante, il gomito appoggiato contro la portiera della macchina. L'altra mano la teneva molle sopra la gamba destra, pronta ad impugnare la leva del cambio quando ce ne fosse stato bisogno. Da quando aveva preso la patente, l'unica disattenzione alla guida gli era costata il primo e l'unico incidente. Roba da poco, ma non poteva più dirsi immacolato. Adesso si era imposto di non lasciare mai la strada con lo sguardo, e questo era diventato l'unico modo in cui sapeva guidare. Ora che aveva accanto lei, lei che gli parlava, doverle rispondere senza poterla guardare negli occhi gli sembrava un immenso minuscolo tradimento; Di tutte le cose di cui si sarebbe potuto vergognare, questa era per lui la più importante.

Nuvolette di polvere e stelle disegnate male e soli e pianeti ingioiellati. Spaccature nel tessuto con cui è stato ricamato il cielo. Capricci di uomini avvolti come rotelle di liquirizia. Massi in caduta libera verso il fondo del canyon, faranno tremare la terra, vivono per sempre, su nel cielo, colombe supersoniche, ti tirano giù ti tirano giù abbassati! Mi fermo per una sigaretta ed un bicchierino, stasera a casa di Digsy, ci invita sempre tutti a cena, scivoliamo via, sposati con prole.
Il meglio deve sempre ancora venire.
La saggezza dello stilita riassunta nel suo rifiuto di scendere, ogni giorno tagliava un millimetro dal perimetro delle foglie della sua pianta di fiori preferita, sperando di farne un giorno un monumentale bonsai, non sapeva che non sarebbe mai cresciuto un albero. Lei invece sì, sarebbe presto diventata un albero, con le foglie rosse e le radici verdi e le unghie ben piantate nella terra, l'unico posto in cui le lucertole verranno a stemperare il loro sangue. "Se vuoi passare la tua esistenza a battere i tasti..." si sentiva dire mentre stringeva le lame delle cesoie intorno alle proprie dita, nel punto esatto in cui avrebbe dovuto indossare l'anello di fidanzamento di qualcun altro, certamente. Bevo solo succo di arancia e spero non ci sia nessun gatto a guardarmi in questo momento. Temo il gatto che sa capovolgersi in aria e non mostra il bianco degli occhi. Oh, stai zitta! 10.000 ahia, ti canteremo canzoni con intervalli di terza minore. Non ti faranno felice non ti faranno triste non ti faranno male non ti faranno niente non ti daranno da mangiare non ti daranno in pasto ai leoni non ti daranno sollievo non ti tireranno le pietre, a meno che tu non sia innocente. Dio ci riempiva le reti da pesca ed indirettamente approvava il nostro non essere vegetariani. L'ironia è che tutte le volte che vuole farsi un buco in testa, sul tavolo davanti a sè non ha che pistole cariche. Se solo tu sapessi dimostrare teoremi di logica con la stessa abilità con cui sai abbinare le scarpe al colore dei tuoi occhi. Ogni volta che penso a qualche frase d'amore da dirti, lo faccio in inglese e così posso spiegarti tutto e non sentirmi banale. Pare che il mondo vada a fuoco e io ci sto nuotando dentro.

16 maggio 2007

Eziologia di un rapimento: con più rabbia, meno cacao e mammiferi di piccola taglia

L'aleggiare è uguale per tutti.

Andare a cavallo mascherati, ovvero l'anonima equestri.

Aveva una fame tale che, dopo aver divorato la forma di parmigiano, si mangiò anche la sostanza.

Allenamento: esercitarsi giornalmente alla perdita dell'autocontrollo.

In mancanza di qualcosa di meglio della giovinezza.

Sempre nello stesso angolo della piazza grande, Ludovico McCarthy fa il venditore di sigarette, senza clamore. Ha i capelli bianchi, è taciturno, è un emigrante di ritorno. Nei mesi più freddi, con il paese barricato in casa, prima che faccia buio ha già consumato un terzo della merce esposta. Sulle quattro casse di frutta vuote e accatastate che compongono il suo banchetto, nella settimana che precede una festa di paese, compare sempre qualche fuoco d'artificio di contrabbando. Va a bere, periodicamente, in ognuno dei bar del paese e guadagna quel tanto che basta per non avere mai più di due mesi di bevute a credito.
Emigrato in Canada, aveva trovato lavoro come operaio di fabbrica. Una vita di risparmi e il ritorno, per comprare una casa e aprire un'attività cui dare il proprio nome. Era andata male. Neanche con i soldi della vendita della casa era riuscito ad evitare il disastro.
Adesso vive in una stanza dell'ultima locanda rimasta in paese. Antonio Riperi, un suo vecchio amico di infanzia e commerciante, uno che al cinematografo non si perde una pellicola western, ha preso a chiamarlo "il vecchio Lu". I figli di Riperi, ripetendo quanto sentito in casa, lo evocano nei loro giochi di cortile come il "vecchiulu". Per uno di quegli oscuri moti interni alla lingua dialettale, è diventato il suo vero nome. Anzi, il vecchiulu non è più solo l'anziano ambulante della piazza, ma definisce con precisione un modo di essere. Se uno degli adolescenti del paese, in uno scontato accesso di malinconia, si rintana in casa e non ne vuole più sapere di uscire, i suoi amici lo esortano al ritorno alla vita sociale dicendogli: "Forza, non fare il vecchiulu!".

Il futuro è già inevitabile; l'unico potere di cambiamento che ci è concesso è quello sopra gli eventi che appartengono al passato. Loverflow è la parola in codice per dire che è possibile dare vero piacere solo a chi non si ha paura di far male.

11 maggio 2007

Reincarnazione di un vegetariano

Io credo che la totale prevedibilità del mondo verrà un giorno ad accoltellarmi nel mio letto e mi troveranno così, morto affogato in me fuoriuscito.

M'immagino una storia di onore e combattimenti tra le coccinelle rosse con i punti neri contro le coccinelle nere con i punti rossi.
Le coccinelle hanno il coccige?

"Tutte le morti, ad un certo punto, contemplano l'arresto cardiaco"
"Ma io ti voglio bene"
"Tu confondi causa ed affetto"

Il racconto di quello che accadde dopo la fine.

Hai presente quando in una giornata di vento, al mare, si vedono gabbiani in cielo e sembrano immobili? Volano, eppure non si spostano di un metro, nè avanti nè indietro. Traboccano di sicura calma. Ecco, io vorrei stare così.
(era per MCp)

"Come vuoi che ti rimanga la cicatrice?"
"Per favore, circolare"

Il resto non lo posso dire. So solo che non lo voglio fare. Ne voglio uscire dissolto e levigato. Velleitario di quelli che lasciano le ustioni più gravi. Con la pelle accartocciata e che non si parli di animali da cortile. Oggi bevendo nuovamente glicerina non sentirei un cazzo di niente. E quella stazione della metro di parigi, e quel vagone. Non so quale dei due stia frenando, ma quella nota la riconoscerei tra mille, figuriamoci tra 7. E il cancello di casa tua che fa lo stesso rumore della intro di una canzone dei Cure. Pizzicore commovente, certo. Ma non mi vedrete mai con le lacrime agli occhi. Sulla lingua, forse. Il mio apparire e scomparire fumoso sarebbe dovuto venire alla maniera dei prodigi della pirotecnia, invece è una cazzata. Vino e foschie, trova la parola di mezzo. Oggi non riesco a infilarmi i guanti, non è incredibile? Ecco un aristocratico capezzolo da cui succhiare il lattice. Ora scrivo di quella vecchina che passa per il quartiere piegata in due nelle sue deformità, a passi piccolissimi e serratissimi, con le buste della spesa sempre azzurre e sul capo un fazzoletto sempre livido. Ora scrivo che un giorno sarà morta e io non la vedrò più passare e semplicemente non ci penserò più. Ora scrivo di come mi fa sentire amaro e apatico e farsesco. Ora vorrei riuscire a dire che il mio concetto di decenza è andare via in silenzio.

06 maggio 2007

Diaria delle eresie. Di aria.

A volte facciamo innocue concessioni alla lingua anglosassone.
"We came, we played, we drifted away"

E' una prigionia che fa il solletico, tra pezzi di pane nero e sorsate d'acqua torbida. Anche per divenire pazzo ho bisogno di certi rintocchi, di quelli lontani, di quelli che arrivano dal di là del mare; nel frattempo, una piccola scultura. Intaglio e scolpisco, mio proprio ed unico capolavoro. "Ma sono i tuoi denti!". Perfetto, e adesso ogni morso è un filo di dolore che parte dalla base del collo e rincula fino alla schiena ultima. Ogni pasto che mi ha reso più concretamente mortale non sarebbe dovuto passare inosservato, e non oserà più.

Si è fatta ancora una volta viva, quella sensazione. Siamo tutti in piedi, in cerchio. A turno si parla, e ciascuno si sforza di tenere il silenzio fuori dal giro. Il meglio di sè in una circostanza sociale. Circostanza, in cerchio stanti. Una mostra guidata nella brillantezza, le spiritosaggini, quale inoffensiva piacevolezza. Peccato che io me ne stia sopra le nostre teste a spiarci. Ovviamente io non faccio parte di tutto questo. Ovviamente, perchè non posso stare nel cerchio e sopra il cerchio contemporaneamente. E io preferisco che il mio punto di vista se ne vada a fare un giro fuori di me e poi torni a raccontarmi com'è il mondo di lato. Non è come essere l'anello debole di una catena, ma più il dente mancante di un ingranaggio: il meccanismo procede ugualmente, i denti prima e dopo di me sopperiscono alla mia assenza, lo spettacolo non si ferma. Non c'è danno, tranne che nella perduta simmetria radiale. Mi sento in colpa perchè mi sto perdendo qualcosa o perchè non mi importa veramente? Mi basta guardarli in volto, uno ad uno, per avere la stupida certezza di conoscere cosa gli passa per la mente. Vi ho studiato, sapete? Sono stato ciascuno di voi, nei miei sogni forse. Riesco a prevedere le vostre mosse. So su quale piede poggerete il peso del vostro corpo. So chi guarderete quando parlerete di un certo argomento. So come terrete occupate le mani. Più di tutto, conosco i desideri che non avete il coraggio di esprimivermi e l'architettura di bugie che vi imboccate per credere di vivere un'esistenza coerente. Perfettamente conscio che non c'è niente di vero in tutto ciò. Ma questo è il mio castello. L'ho costruito io e saprei resisterci ad un assedio lungo un lustro. Fin nei minimi particolari, progettato per non lasciarmi entrare.

29 aprile 2007

Le peripezie di Feticcio e Malmostoso

"Ti andrebbe di sfilarmi le scarpe?"
Ed io che neanche avevo cercato le parole.
Era una festa, era sabato ed era pieno di streghe. Io continuavo a fissare la strega più strana di tutte.
Soddisfazioni e aspettative hanno il loro posto naturale dentro una cartellina in cartone con tanto di elastico, non dentro una mente.
Circondato da fonti, la luce emessa collassa tutto intorno e mi bagna le scarpe.
Il distacco emozionale sperimentato dalle villette schierate come un plotone d'esecuzione addosso al mare.
Non seguo un piano, non rotolo lungo un piano. la parola al groviglio: dice che faccio bene.
Lei alzava la mano e il gesto che stava per compiere avrebbe registrato il loro passaggio. "Non ce n'è bisogno" Lui le disse. Scesero alla fermata successiva, smarcando il controllo. Lanciandomi un riflesso di vecchiaia.
Sarebbe sconvolgente pensare ad una grazia che non scende dall'alto, ma evapora dalle spaccature del terreno e nella quale potremmo muovere le gambe come cucchiai in un piatto di minestra.
Occhi chiari su un volto poco attraente. Meritano una punizione.
Sostituire la morale con l'estetica. Accedere al tempo attraverso una scala graduata. Sotto il rosso si nasconde la sicurezza, oltre il violetto s'apre l'umanità.

Le dicevano: "Togli le mani dalla neve". Le dicevano: "Resterai assiderata". Lei pensava alle stelle.

E' facile. E' anche bizzarro. Può apparire superfluo. Puoi ignorarlo. Non puoi farlo arrabbiare. Si lascia disprezzare. Si lascia cadere. Si ripete e diventa amichevole. Nasconde una massa nera d'infinita oscurità. Ha preso tutto il nero di cui si circondava un tempo e lo ha compresso e messo là, che si appoggia al muscolo diaframmatico. Respirando forte riesce ancora ad evocarlo. Ci sono dei brividi, come quelli che si provano sotto il sole d'agosto: toccare la massa glieli provoca. E lui, di tanto in tanto, tocca la propria massa, e trema. E' così che si costringe a non dimenticare.

23 aprile 2007

che s'è costretti, lo schifo, ad esalare

"Non ce la faccio", a denti serrati, con la fronte tumefatta dal dolore, avvolta nel sudore, i capelli incollati alle tempie. Contrazioni sempre più frequenti, accecanti e insostenibili.
"Neanche io", trascinando le parole, riverso, bevuto fino al cielo, bruciato dall'alcol e dalla nausea anche nello spazio tra i muscoli e le ossa.
E poi c'è il cane. Bello, alto, bianco, un bastardo a metà strada tra levriero e pastore maremmano. Sguardo intelligente, gli occhi come quelli di Liz Taylor, il ciuffo di James Dean. Il cane sta trascinando lo schifo di materasso su cui sono buttati entrambi. Cinque centimetri al minuto, verso il centro della strada. Ci vuole una piccola pausa per pensare ad un luogo peggiore, più sporco, in cui far nascere un bambino.
Nessuno dei tre, nessuno dei quattro, che possa mettere a fuoco un pensiero in questo momento. Se deve colmarsi la misura, questo è l'istante perfetto. Che finisca come deve finire, ma che finisca adesso.


-Perchè non hai più chiamato?
-Cosa?!? Avrei forse dovuto?
-Beh, sei tu che mi hai chiesto il numero, o no?
-Esatto
-Cosa lo hai preso a fare, allora?
-Per risentirti, mi pare ovvio.
-Eppure non hai richiamato...
-Non credevo ci fosse una data di scadenza.
-Certo sei proprio un bel tipo, tu. Mi sei stato addosso tutta la serata, praticamente ignorando tutti i presenti: e già il giorno dopo, come non esistessi.
-Ti sbagli, non mi sono dimenticato di te; e certamente ti ho pensata.
-Faresti prima ad ammettere che non ti andava di richiamare...
-In parte hai ragione. Vedi: appena qualcosa mi si profila davanti come un obbligo, io divento di pessimo umore. Dalla mattina dopo la volta che ci siamo incontrati, ho iniziato a pensare "forse dovrei richiamarla" e mi è subito sembrata un'azione poco spontanea. Sono rimasto per giorni a oscillare tra la voglia di risentirti e il desiderio di non fare qualcosa per il semplice motivo che "va fatto".
-E sei anche strano forte. Lo sai che io non pensato a tutto questo, ma solo che non intendevi più voler a che fare con me? A chiunque sarebbe apparso evidente che io sono stata il passatempo di una serata. Ti annoiavi e hai trovato qualcuno con cui flirtare un po'.
-Solo se ci vogliamo fermare alla apparenze. E' un po' più complicato di così.
-No, guarda, non è complicato per niente. A me sembra palese. Ti va di rivederci, mi chiami; se non ti va, allora non chiami. Non hai chiamato, quindi non ti andava.
-Non dovresti giudicarmi in base alle mie presunte intenzioni.
-Infatti lo sto facendo sulla base delle tue assunte azioni. Una settimana di silenzio.
-Mi spiace che il mio comportamento ti abbia dato da pensare. Comunque credo ancora di non aver fatto nulla di così grave, che, se deve nascere qualcosa, lo farà anche se scompaio dalla faccia della terra per qualche giorno.
-Ma come potevi aspettarti che io fossi già a conoscenza del modo in cui sei fatto, di questo tuo modo di comportarti? Avresti potuto darmi almeno una piccola spiegazione. Sai che sforzo dire: "faccio qualcosa che potrà apparire maleducato, ma so che tu capirai". Mi avrebbe aiutato a sentirmi meno stupida.
(termina così questo dialogo, privo di una vera) Fine

19 aprile 2007

Breve guida pratica alla felicità scritta in una familiare e convincente seconda persona

Solo due righe per introdurre l'argomento. Non è intenzione di questa guida fornire una definizione o una mappa dettagliata della felicità. L'autore ritiene che ogni lettore conservi la propria nozione di "sono felice" e "non sono felice" e sia in ogni momento ben conscio in quale si trovi. Si cercheranno allora piccoli accorgimenti pratici per minimizzare la percezione del tempo nei momenti di non felicità.

1) Guarda molta televisione
Ricorda: la tua mente è tua nemica. Ogni pensiero formulato equivale ad un possibile momento di felicità che non tornerà mai più. Ti interessa veramente perderne altri? Ognuno di noi, per vivere, ha bisogno di un modello della realtà con il quale fare i conti. La televisione te ne fornisce uno già bello e confenzionato, facile da digerire, senza chiederti nulla in cambio e senza il bisogno di alcuno sforzo critico. Inoltre la potenza ipnotica dei suoni sincronizzati alle immagini in movimento è in grado di alienarti da ogni percezione dolorosa proveniente dalla realtà. (Sostanze psicotrope -alcol, droghe, frittura di pesce- sono promosse come accettabili sostituti del tubo catodico)

2) Leggi il meno possibile ed evita di frequentare persone che non la pensino come te
Non dimenticare: la tua mente è tua nemica. Ora che hai creato la tua fortezza di certezze, non lasciare che qualcosa o qualcuno insinui in te il dubbio. Il mondo è pieno di egoisti che cercano di allontanarti dalla tua felicità per godere della loro. Non permettergli di farti credere che se ci rifletterai su, la tua vita migliorerà. Semplicemente non è vero.

3) Tratta le persone come se non avessero sentimenti
L'empatia è una cosa per mammolette. L'unica cosa che ottieni cercando di metterti nei panni altrui è di soffrire senza motivo quando anche loro soffrono. Al contrario non ha mai funzionato. Quando loro sono felici, si dimenticano di te e tu non riesci a condividere la loro felicità. E, dopo tutto, perchè dovrebbe importartene? Cosa hanno fatto loro per te? Pensi che ci sia qualcuno cui importi se tu sei felice o meno? Là fuori è una giungla, cerca di cavartela e lascia che gli altri se le cavino da soli.

4) Vesti come la maggioranza, parla come la maggioranza, pensa come la maggioranza
Questa è una tecnica che comporta diversi vantaggi. Primo, ti permette di essere accettato facilmente dalla tua comunità, nessuno sarà spaventato da qualche tua possibile diversità. Comunicherai agli altri un'idea di familiarità che incrementerà notevolemente la tua riuscita in campo sociale. Secondo, gli altri ti saranno inconsciamente grati, poichè grazie al tuo comportamento uniforme non intaccherai il loro sistema di certezze (vedi punto uno). Terzo, non avrai bisogno di mettere in moto la mente per compiere scelte, che siano quotidiane o di vita: fa' in ogni circostanza quello che farebbero gli altri e andrai diritto e a colpo sicuro.

5) Cura il tuo aspetto e l'apparenza in modo maniacale
Dare più importanza alla forma che alla sostanza è un passaggio chiave. La maggioranza (4) ti indicherà come muoverti e tu dovrai seguirla alla perfezione. Dovrà diventare la cosa più importante della tua vita e l'unica a cui presterai vera attenzione. Nel momento in cui cosa indossare in una certa situazione diventa più importante della situazione stessa, sappi che sei sulla strada giusta verso la felicità assoluta. E fai attenzione: chiunque ti accusi di essere una persona superficiale è qualcuno da cui tenersi alla larga.

6) Scegli sempre la strada più facile
Non farti scrupoli, è così comodo! Facciamo qualche esempio: Sei accusato di un delitto grave? Da' la colpa del tuo comportamento alla società, tanto lei non potrà difendersi! Sei a cena fuori con una ragazza e sei a corto di argomenti? Falla ridere prendendo in giro le persone meno attraenti di lei, parla malignamente alle spalle degli altri, prenditela gratuitamente con una minoranza qualsiasi oppure metti in ridicolo chi è diverso da voi: lei resterà affascinata! Hai dei problemi di coscienza? Ci sono tante religioni che si offrono di ripulirtela in cambio di una misera ora a settimana da passare seduto su una panca di legno e di una piccola offerta in denaro. Non ti sembra un'offerta troppo vantaggiosa per poterla rifiutare?

15 aprile 2007

Fin da bambino ho bevuto in bicchieri tetradecagonici

Nella sala d'aspetto di un ufficio comunale, sto seduto sopra una panchina di legno compensato e ferro verniciato nero. L'ufficio è chiuso ed io non sto aspettando il mio turno. Le gambe leggermente divaricate, i gomiti appoggiati sopra le ginocchia, la testa tra le mani, le dita tra i capelli, gli occhi chiusi. Contro il muro alla mia destra, riposa un distributore automatico di bibite calde e snack. All'improvviso si mette a vibrare rumorosamente; deve essere il compressore interno che si rimette in moto, servirà a mantenere la corretta temperatura interna. Faccio lo stesso anch'io. Cerco di scuotermi, restando immobile. Ho bisogno di ridare la giusta temperatura ai miei pensieri.
Lo guardo, esso inerme. Dentro, in bella fila, merendine che non avevo mai visto. Non so perchè, mi sembra ci sia un ordine sbagliato in quello che vedo. Il cibo mi è sempre sembrato anarchico, senza regole, accatastato, puzzolente, organico. Ora sembra la falange in formazione di un esercito macedone. La sua disposizione non è naturale. C'è una fila però, che ammicca nella mia direzione. Le schiacciatine al rosmarino. Come al liceo. Ci penso un po' su. 35 centesimi. Ci penso un altro po' su. A28. Infilo la mano in tasca, dove so di trovare qualche monetina (è tutta la mattina che tintinnano là dentro, tenendo il ritmo di ogni mio passo (una seconda parentesi ci vuole, anche solo per dire che è un blues)).
In tasca tocco anche un pezzo di cartoncino spiegazzato. Lo tiro fuori. E' il biglietto di un concerto. Devo essermelo dimenticato: di solito li ripongo tutti insieme, visto che mi piace conservarli. Non c'è scritto di chi sia il concerto, in compenso riporta luogo e data.
Chiedo che sia messo agli atti come prova, Vostro Onore.
Per un istante il termometro scende sotto lo zero, e tutto torna freddo e immobile e vuoto.
L'istante dopo c'è solo una pallina di carta, sul fondo di un cestino dei rifiuti, a far compagnia a bicchierini di plastica, sporchi di caffè istantaneo, e ricordi indesiderati.

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50 cent, 20 cent.

Eseguo.

Un meccanismo a vite compie due rotazioni complete intorno al proprio asse, lasciando cadere due confezioni (mi ricorda un'illustrazione della vite di Archimede di Siracusa, quella per sollevare l'acqua). Il rumore dei biscotti che si spaccano è meno acuto di quanto mi aspettassi, sarà per colpa del vetro divisorio. Non ho per niente voglia di mangiarle ora, e allora le infilo nella tasca della giacca. Ecco, proprio adesso non è il mio turno, non stanno chiamando il mio numero. E' meglio che mi dia una mossa.

07 aprile 2007

Candido, o dell'ammorbidente

Mi piacerebbe sapere come si sposta Alessandro Baricco. Ha una macchina? E che modello? Ha un autista? Si fa accompagnare? Usa l'autobus, o magari va in bicicletta? Prende la metro? Quando si sposta da una città all'altra, viaggia in aereo oppure preferisce il treno? Perchè dal modo in cui racconta le storie si vede che ha un rapporto atipico con le persone. E il modo con cui creiamo relazioni con le persone passa attraverso la gente che incontriamo o con cui veniamo in contatto sui mezzi di locomozione. E io sto ancora cercando di capire se i suoi sono personaggi poetici descritti prosaicamente o l'inverso.

Mi piacerebbe anche vedere come si muove Miss R. Come tiene le spalle quando cammina, insieme alle mani e alla testa. Come guarda gli oggetti e come guarda le persone. Come tiene in mano un bicchiere e lo avvicina alla bocca. Quale strada percorre la sua faccia quando parte da un sorriso e arriva alla maschera della serietà. Quanto dura un suo batter d'occhi. Dove guarda, quando è inquadrata da una telecamera. Se arrossisce. E' un'ossessione passeggera. Completamente asettica. Nessun danno arrecato. Quando gli osservatori rientrano nella casistica della normalità, uno zoo mostra le sbarre come i denti dell'atrocità personificata. Il contrario è il contratto che sono pronto a stipulare per garantire l'incolumità delle mie cavie.

E poi mi piacerebbe perdere la testa. Ridere in faccia al mio ultimo confessore e inginocchiarmi sul legno del patibolo. Ah ci sono agevoli istruzioni: "Infilare la testa nell'apposita fessura". C'è un bambino, tra la folla, che non riesce a tenere gli occhi aperti. La causa è il sole che si riflette accecante sulla lama, mia prossima decapitatrice. E' così bella e pulita e affilata che vien voglia di leccarla o sentirne in filo contro una guancia ispida. Come quella volta, che contro quell'asse da cui spuntavano tre chiodi arrugginiti, spinsi la mano atrocemente e la trapassai e puntualizzai la volontà di dolore e toccai un pensiero intoccabile con un'azione tabù. Eccola, scende. E' gelida ed è solo un attimo. Cade in un cesto e si macchia di sangue arterioso. La grottesca sede del mio Io. Anche se adesso sono un fontanile vandalizzato e arrugginito. Che liberazione. Tutta la vita con questa grumo carnifero che mi pende dal collo e non accenna a guarire. Metastatico, metafisicoideo, metà stitico. La mia impiccagione orizzontale e simbolica. Sotto quest'albero, non cresceranno margherite.

29 marzo 2007

Dell'aria me ne affogo

La storia strana di un uomo che uccide altri uomini
mansueto (qui ci va il grafico spaccato
di un vagone della metropolitana)
alla sua vittima tiene la testa sott'acqua per troppo
troppo tempo
con una mano gli paralizza le mani
con una mano gli somministra
il suo secondo ed ultimo battesimo
con le gambe gli blocca le gambe
con il corpo gli ammutolisce il corpo
"Non ci siamo mai visti prima di oggi
e solo io ti sto volendo veramente bene
adesso amico"
...
"Non sei contento di essere arrivato al
traguardo? Non ti interessa vedere com'è
da qui in poi? Ridi amico che ci sei quasi"
...
"Rimango concentrato sulla mia mano e sulla tua nuca
Rimango concentrato sulle tue vie di fuga
Rimango concentrato a soffocare i tuoi tentativi di fuga
Niente può minare la perfezione del mio gesto
Un errore ed io divento te e tu diventi me
Ed io non voglio essere come te,
mio sfortunato amico"

Io me ne sto dentro il mio buco
amanuense di cosa poi
scrivo il mio codex un paragrafo al giorno
sarà finito per quando avrò i miei capelli indietro
sarò finito per molto molto meno

Non sapevo cosa fare
Allora ho impresso la fronte contro il muro
Segue la corsa in ospedale
(sono arrivato terzo)
Mi hanno dato tre punti di riferimento
gentilissimi

I miei capelli per pennacchio

Le parole se ne stanno tutte buttate lì in terra, sparse e disordinate. Loro sono pesanti, vedo alcune brutte occhiate provenire dal gruppo dei sinonimi di "pesante". Io sono fiacco e svogliato. Piuttosto che raccoglierle ci cammino sopra a piedi nudi. Una si rompe e fa "croc", la guardo ed era infatti un pezzo di "accrocchio". Mi rimangono un paio di parole attaccate sotto i piedi, come "ferrita", "taghlio", "l'acerazione". Sono sporche di sangue, errori da matita rossa. Metto il piede sinistro sopra "incautamente" e con quello destro calpesto "scivolare". Un'altra parola si incastra tra quelle che ho già attaccate sotto i piedi, credo sia "tetano". Metto in fila mille parole e poi prendo la prima e la porto in fondo e ripeto ad libitum. Raccolgo "via" che è una parola piccolina e delicata e mi sta facilmente nel palmo della mano. Me la metto in tasca. Io e la processione di parole ce ne andiamo.