30 gennaio 2007

Cosa ho mangiato a colazione e altre inutili informazioni

Soggetto maschile n. uno: Conflittuale rapporto con il proprio status sociale, alterna episodi di ostentazione a momenti di dissimulazione.
Soggetto maschile n. due: E' solito attaccare verbalmente l'interlocutore per evitare il confronto personale.
Soggetto maschile n. tre: Sembra non riuscire ad applicare la sua grande mole di conoscenze e abilità ad alcuna attività concreta.
Soggetto maschile n. quattro: Intrattiene rapporti utilitaristici con gli amici e insinceri con le molte partner.
Soggetto maschile n. cinque: Infantile e ideologico, non conosce il senso della misura.
Soggetto femminile n. uno: Ha architettato una personalità tormentata e una vita disordinata, potrebbe avere già tutto quello che vuole.
Soggetto femminile n. due: Pretende sempre il giusto comportamento da chi le sta intorno, ma non lascia mai intuire quale sia.
Soggetto femminile n. tre: Chiede costante attenzione e nasconde una parte di sè, forse cruciale.
Soggetto femminile n. quattro: Grandissime potenzialità e senso del dovere, ha un enorme blocco psicologico verso il rischio e le situazioni incerte.
Soggetto femminile n. cinque: E' convinta che una quantità di principi astratti possano essere trasferiti alla vita reale senza compromessi, soffre nel tentativo.

Ho capito il controintuitivo senso d'orgoglio di portare addosso un difetto, una deformità. Da mostrare agli altri come una ferita di guerra, una cicatrice, una prova che, per un limitato periodo di tempo, si è vissuto. C'entra lontanamente anche il graffio che mi hanno premurosamente lasciato sulla carrozzeria. Ma ha senso solo se frutto delle conseguenze di altre azioni: immotivato, scollegato, un effetto collaterale. Nulla di autoinflitto, dunque. Nell'essere materialmente differenti non vedo alcuna colpa, nè merito.

Un poligono regolare, con un numero sufficientemente grande di lati, è praticamente indistinguibile da una circonferenza. Il singolo essere vivente più grande del pianeta è un bosco. Ricordo ore passate a discutere sull'esistenza dell'anno 0.

Ogni volta che si fanno puntualizzazioni analcoliche mi sembra di sentire in sottofondo gli shellac.
Se non sei una persona molto intelligente non dovresti osare/usare quella montatura per gli occhiali. Quella squadrata, nera, bassa e spessa, non so se hai presente.
Continuo a darti del tu.
E già che ci siamo, ti dico pure questa: se ti definisci una persona simpatica, un po' pazza, solare, stronza-ma-in-fondo-buona, romantica, sincera, estroversa/introversa, affidabile e disponibile, c'è una buona probabilità che tu non sia nessuna di queste cose. Prova di nuovo e più forte.

28 gennaio 2007

Ameba monocellulare che, in risposta alla mancanza di nutrienti, piange

Subito neo, subitaneo.
Un colpo di t'osserva.
Verità per grammi.
Tessere un mosaico con tessere di una tela.

Cominciarono con il toglierci le unghie dalle dita. Tutte le unghie da tutte le dita, anche quelle dei piedi. Un effetto fu meno immediato del dolore, ma più insopportabile: non sapemmo più raccogliere gli spilli caduti sul pavimento; e grattar via i nostri pruriti divenne una faccenda ingrata: ogni volta dovevamo munirci d'oggetti appuntiti o ruvidi, che i polpastrelli nudi non ci bastavano più.

Ogni impronta lasciata camminando sulla terra è l'inizio di un vulcano. Quando spuntano, il ghiaccio si scioglie e l'acqua è scartata in favore della polvere. Quando esplodono, nell'aria intorno viene lanciata materia in uno stato innaturale, un poco metafisico. Tutto quello che si sa è che è blu e cade come pioggia. Se in quei momenti si tira fuori la lingua non ci si disseta, ma almeno ci si commuove e per un po' si rimane convinti che, dopo tutto, un qualche tipo di battesimo non può essere così sbagliato. Dopo tutto però, non prima di tutto.

Non tocchiamoci. Non pensiamoci neanche. Non stiamo fermi davanti ad una lampada accesa di notte o all'uscita di un tunnel senza luce, che un osservatore causale potrebbe, passando, vederci come figure nere in controluce. Non accontentiamoci del fascino dell'infelicità. Non prendiamoci in giro, chiedendoci perchè a vicenda. Non iniziamo a bere preventivamente, per calmare una sete che non abbiamo. Non mettiamoci a parlare del tempo, del lavoro, dell'università, di cinema, di musica, di politica, di calcio, delle altre persone, della nostra infanzia, di quello che ci piace, di quello che non ci piace. Non chiediamoci quando di nuovo. Non fingiamo di apparire migliori e peggiori di quello che siamo. Non restiamo qua seduti. Non respiriamo troppo intensamente. Se tu non sei, allora non sono neanche io.

Se pensiamo le stesse cose non è che possiamo considerarci un coro.
Una delle mie immagini preferite è il guerriero che si siede in riva al fiume e attende passare il corpo esanime del nemico. La singola idea dell'attesa si rispecchia così meccanicalmente in quello che sono e in quello che faccio, e su così tanti livelli, che non saprei da dove cominciare a descriverla.

C'è così tanto sporco in quest'aula. Il cestino della spazzatura che non è stato ancora svuotato. La polvere di gesso che si materializza in una evanescente nuvoletta bianca, come se le parole scritte sulla lavagna prendessero vita e i concetti che esprimono decadessero con questa forma nel mondo materiale. Ci sono le gomme da masticare nascoste pigramente sotto i banchi, come microspie, e le scritte offensive e oscene incise nel legno degli schienali di quelle sediacce, scomode e incerte. Ma questo è il meno. Gli sguardi degli altri studenti, tutti rivolti religiosamente avanti verso la cattedra-altare, sono come fili di ragno. Entrare e sentirsi addosso questi occhi sporchi. Schifo, chissà su cos'altro si sono posati prima di venire a pungolarmi. Attraversare il campo d'inquadratura come una comparsa inetta e confusa. Passando, rompere tutte queste ragnatele, che rimangono addosso. Arrivare finalmente al proprio posto, oramai al sicuro, coperto di filamenti bianchi. Ricucirli, farne il proprio bozzolo. Dimenticarsi pensosi di adesso.

Lo assaggiarono, ed era gelato. Lo nascosero, e divenne celato.

Il solitario, è come un nuovo gioco, un uomo gioco. Tira in avanti la mascella e allinea i denti di sopra con i denti di sotto. L'uomo accanto al solitario gli chiede: "perchè fai così con la bocca?" e il solitario per tutta risposta gli fa annusare le mani. Le mani del solitario, se sono sudate e vengono a contatto con la lana, acquistano un odore singolare. Un odore che si riconosce provenire da qualcosa di vivo, ma non per questo sgradevole. L'uomo accanto al solitario non è molto intelligente e spesso inventa delle storie su di sè per sentirsi importante, o almeno questo è ciò che crede il solitario. Il solitario di solito scrive cose che non fa leggere a nessuno; spesso lo si può vedere iniziare nuovi paragrafi. Si diverte anche a bilanciare reazioni di ossidoriduzione, il solitario. Lui è il solitario perchè sospetta il peggio in chi gli vuole bene e si aspetta il bene dai peggiori, perchè non sa mai cosa rispondere e quando, perchè non sa perchè rispondere, e il tempo gli si presenta sempre in incognito. Il solitario, quando sa che sta per ripetersi un rituale, scappa via. In un tempo sepolto insieme ad altri passati, trascorreva le sue ore seduto su scalini di travertino bianco, da solo. Sfogliava riviste di cui conosceva già il contenuto o svolgeva sbrigativamente i compiti che gli erano stati assegnati. Il solitario fantasticava: credeva di vivere in un fumetto, ed era sicuro che non si sarebbe accorto dello spazio bianco tra le vignette, del tempo bianco tra i riquadri. Ipotizzava tutto ciò che gli altri non avrebbero avuto il coraggio di dirgli, e lo prendeva per vero. Il solitario scrive oggi indifferentemente in prosa come in poesia. Parla poche lingue, ma non si fida di nessuna. Ma alla fine tutto quello che occorre sapere è che c'è sempre una buona ragione, o una valida scusa, per ogni volta che un solitario non riesce.

Vicini di carne.
Litigherei a causa di centimetri.
Con piacere, per il piacere.
Invece erigere muri.
Soluzione universale a problema condominiale.
Non c'era bisogno, veramente.
Ti s'apre il sorriso e ci sarebbe da piangere.

24 gennaio 2007

Se non è puzza, è can bagnato

La differenza che c'è tra il movimento orizzontale e quello verticale è la differenza che c'è tra ciò che vuole e ciò che è voluto.

Quando mi immagino gli Dei dell'Olimpo impegnati in uno sport di squadra, Apollo è sempre un giocatore egoista, uno di quelli che non passa mai la palla.

Da una moda si può scendere, semplicemente, come da un autobus. L'autobus della moda è quello che si prende a fermate che non sono le tue.

Una volta l'arte era superba e la politica profittatrice. Oggi la superbia è dei politici e l'opportunismo degli artisti.

Al posto della grandine mi piacerebbero diamanti. Tutto soccomberebbe ai graffi e nulla si salverebbe da questa sparatoria. Tutto e nulla.

Trame adiacenti che vanno formandosi, arrampicandosi:
Il giullare sfortunato completa le parole crociate. Gradi di separazione pulsano adiacenti all'idea romantica che le cose hanno delle cose. Suo fratello esautora il dentista. Davanti ad uno specchio tentatore, i generali si eccitano con i loro nudi corpi cosparsi di ipocrisia. L'opposto della grana fine è sparso tutto intorno da una banda di paese. Bandiere bandite e fotocopiate che annoiano. Apatia elettrica fuoriesce dal di dietro di un tubero. Può un legame forzare l'emergere di una saggezza? Il mio spazio avverte il territorio, e lo annienta. Il suono dell'immerso, versatile, copre il suono dell'immersione. Tragedie arcane crescono ai crocicchi come fa l'erba gramigna. Una regola d'emissione difende involontariamente la causa del filatelista, note alla fine del paragrafo. Può una sbirciata provare lussuria? Il mostro valuta l'avvocato sostituto prima come meccanico, poi come avvocato sostitutivo. Il di lei teorema affligge una particella sopravvenuta d'argento. Nel retro, audio-cassette si uniscono piegandosi in un congresso di nastri in cima ad un vantaggioso manto di corpi di persone che fanno 'Manto' di cognome. Coincidenza, fissa senz'arte! Al di qua della pellicola si scherza sul controllo. La vice-cultura che lava la fantasia. Quando le strade si srotoleranno una sopra l'altra, l'una e l'altra una terribile lumaca? Il ritiro del contrasto pretende di essere il suo più vicino equilibrio. Un altro giullare disegna il geloso opposto porpora della traccia.

Una gatta ha detto che gli psicofarmaci non fanno più effetto, sospirando.

23 gennaio 2007

Io per far star su le nuvole avrei suonato un do e un mi minore

Sì è vero. Troppo timido, ma ci sono mille buoni motivi. E poi la timidezza è come un liceale che compie 18 anni, si giustifica da sola. Ogni volta che parlo con una ragazza tradisco quella parte di me che ripete allo sfinimento: "ma dove cazzo vai?" "te lo ricordi chi sei?" "te lo ricordi come sei?". Quella parte di me che mi alimenta con palate di rabbia, quella parte che durante certe notti mi tiene sveglio okkupando il mio stomaco, quella che mentre cammina per strada si guarda riflessa nei vetri opachi di tutte le macchine parcheggiate e si vede deformata, deforme. E che tornerà a specchiarsi all'auto successiva. "Io ti sono amico, poi tu ti trovi un ragazzo e io mi devo uccidere" e io nel buio della sala sono diventato rosso, completamente rosso, come mi accade tutte le volte che si parla di me. L'unica differenza è che io non mi uccido, io faccio finta che non è successo niente. Quando ho cercato di insegnarmi a non averci mai creduto, è successo che ho imparato a non crederci mai più. E quando subito dopo si sono accese le luci in sala, ho sperato che non te ne fossi accorta.

La scena dell'ubriacatura era brutalmente sincera. Ho sentito i suoni della festa appannati e la musica ne usciva come un sovrappensiero. Ed è la prima cosa che noto ogni volta che bevo: gli effetti sul mio senso dell'udito.

Gli ultimi istanti del film non li ho visti, eppure avevo gli occhi aperti e fissavo lo schermo. Ero dentro di me a pensare che: "sì, è vero". Che non c'è lieto fine e va bene così. Che dover stare a rincorrere se stessi quando ci si sente sbagliati non risolve niente, anzi peggiora, e che la solitudine, in fondo, va bene così. Che se voglio veramente qualcosa e l'unico modo per averla è prendermela, allora preferisco non averla, che tanto farebbe felice solo me; e se non dovesse arrivare mai, va bene così.

Lui disse "prendimi la mano, non riesco a dormire". Lei gli prese le mano. Lui si addormentò.

20 gennaio 2007

L'antro del distorco cattivo

Non si può rispondere male, non si può rispondere 'male'. Sono solo canzoni, vero? Lo sapevo. Mi volevano ingannare. Distaccato e deragliato. E' l'immaginazione che mente. E' la mente, che immaginazione! Mi vengono foto oscure, oscure come una strada buia, con gli alberi ai lati, percorsa velocemente, troppo lentamente. Non dovrebbe essere dolorosa, è bella perchè fa paura, è brutta perchè fa paura. Non ho più voglia di dormire. Dimentico facile, quindi potrei già aver scritto tutto questo. Alcune persone mi lasciano degli sguardi che mi gelano. Vorrei spiegar loro che non è come pensano, ma poi negherebbero di averlo pensato.

Tutto questo avviene nelle situazioni che potrebbero richiedere un certo comportamento, ma io mi ribello.

Ri-bello e ri-buttante. Urla in silenzio perchè le parole sono violenza. Partecipe è una parola oscura, una parola scure. Io soffio. Mi batte il cuore, strano. Sul muro c'era scritto 'grande cuggiolo'. Sono andato fuori tema, sono andato fuori strada.

Ho sognato dei quadratini, ma nel mio sogno erano cerchietti.

-Ho finito, grazie
-T'è piaciuto?
-Sì
-(ha un brivido)
-Sei triste?
-Non mi sento triste
-Mh
-Ma sono triste, come in "una scena triste"
-Dove la differenza?
-Procuro una tristezza che non è mia
(pausa)
-Vado via
-E dove? (respira)
-Torno in gabbia...
-(no)
-...almeno da dietro le sbarre mi possono volere bene
-Ma anche così
-...
-Io te ne voglio
-Solo perchè sto dentro una gabbia
-Tanto ci sto pure io
-Posso solo camminare in cerchio e guardare fuori
-Ma mi stai ascoltando?
-Io ti inviterei nella mia gabbia
-...
-Ti puliresti i piedi sullo zerbino all'entrata
-...
-Ti direi "non fare caso al disordine"
-Io: "Ma che bella gabbia"
-"Vero? L'ho fatta arredare da un mio amico architetto"
-"E' notevole"
-"L'architetto è uno struzzo"

Ogni ellisse ha due fuochi, che sono come i suoi due centri. Ellittica è anche la triettoria della terra intorno al sole, ma rispetto all'orbita terrestre, il sole si trova in uno solo dei due fuochi. Tu in quale fuoco sei?

17 gennaio 2007

La canzone che ho decomposto per te

Io e la mia ombra siamo due persone completamente diverse. La mia ombra non prova mai vergogna. Si allunga in zone oscene. Non ha il pudore di nascondere le sue forme, perché è solo forma. Se io mi fermo davanti un limite invalicabile, un cancello chiuso, un passaggio proibito, lei mi precede e ci entra senza esitazione. Se io cammino sul pontile di un lago, lei si getta subito nell'acqua gelida. E mi sfida: non vuole uscire. Poniamo che io mi metta ad aspettarla sulla riva, al calar del sole: lei, anzi, si allontana ancora di più. Di notte non torna mai a casa, non l'ho mai vista dormire. Ma le va dato atto che ogni mattina ritorna, non ha mai saltato un giorno di lavoro. La mia ombra non ride mai con la bocca, nè con gli occhi: qualche volta si batte il pugno contro il ginocchio, ma è più un'eccezione. A entrambi non piace ballare, è vero, ma va sempre a finire che lei mi giri intorno più di quanto io giri intorno a lei. Un po' ci sono affezionato, anche se non è l'unica ombra che ho. Ma tutte le volte che l'osservo ho la certezza che lei abbia capito qualcosa di importante; lei che fa quello che sente. Io so che non sarò mai trasparente, finchè la mia ombra sarà presente.

Massì, va! (ttack)

15 gennaio 2007

Mi sveglio presto e ingoio nebbia

"Adesso qual è la prossima mossa, genio?"
"Hai mai notato che in ogni goccia di pioggia che si ferma sul vetro è riflesso capovolto tutto quello che c'è oltre il vetro?"
"Non ho imparato nulla. Ché quando ne ebbi l'occasione dissi -non mi serve-."
"Come? ti sei giocato le mani e hai perso?"
"La Trasformazione è arrivata. Piccoli indizi: il cielo è viola. Grandi segni: se ha una lama e un manico, non è più un coltello."
"Se piego il braccio, sulla punta del gomito spuntano denti."
"Sono sicuro che riesci a far rimanere molti uomini in mutande, ma io mi ci sentivo già prima di conoscerti."
"Ma vedi, come posso non essere sincero? Io, io che ti mostro il collo?"
"Di casa mia mi mancano tutti i giochi finiti e rimasti sotto gli elettrodomestici."
"E questo te lo avrebbe insegnato un cane?!?"
"La mia faccia è accaduta un giorno che ero steso sulla sabbia e un'ombra mi è finita addosso."
"Se tu riveli subito dov'è il palazzo non puoi citare il fatto che abbia molte finestre, è gratuito."
"Ho intruppato"
"Da grande voglio fare il capo del mondo. E' un obiettivo plausibile, se nessun altro ci pensa. Zero concorrenza."
"Ogni cubo che tieni in mano è una stanza al contrario."

14 gennaio 2007

La metensomatosi nascosta sotto il letto

Le rose si impollinano solo tra rose. Capita anche a tutte le altre piante, ma fatto da loro sembra un atteggiamento così altezzoso.

Sono nella schiuma. Circondato dalla schiuma. Immerso nella schiuma. Sommerso dalla schiuma. Vedo solo schiuma. Annuso la schiuma, ho in bocca il sapore della schiuma. Nelle orecchie ho il rumore che fa la schiuma. Non ho freddo perchè la schiuma mi tiene caldo. Non ho paura di farmi male, perchè mi protegge la schiuma. Schiuma sotto e schiuma sopra, schiuma a sinistra e destra: davanti e dietro, schiuma. Ora so tutto della schiuma. Riconosco la schiuma vecchia dalla schiuma nuova. Mi accorgo quando mi rubi o cerchi di rubarmi la schiuma. La schiuma aderisce alla mia pelle e vi entra dentro. Sono coperto di bolle, bolle di schiuma. Su ogni bolla di schiuma si riflette il tutto intorno e il resto della schiuma. E su ogni bolla di schiuma c'è un arcobaleno. Che non è proprio un arco, solo un baleno. Nella schiuma non sono mai triste e non sono mai felice. Nella schiuma tutto è bianco dello stesso bianco della schiuma. Nella schiuma posso respirare, eppure mi sento soffocare. Nessuno sa di quello che c'è tra me e la schiuma. Perchè non c'è niente. Ci siamo solo io e la schiuma.

E ho intravisto una ironica asimmetria. Se c'è una cosa che non può accadere per sempre, la stessa cosa può non accadere per sempre.

L'arbitro fischia la fine.
Entro in campo.
Attendo l'arrivo di colui del quale sarò il sostituto.
Aspetto l'interrompersi del gioco.
Comunico ai direttori di gara che sto per entrare.
Mi riscaldo.
Mi alzo dalla panchina.
L'ho scritto al contrario perchè contiene una metafora dozzinale a tal punto che me ne vergogno. Però vorrei essere di nuovo la persona che ero quando avevi sedici anni. Ero migliore, io, accidenti.

Non capisco perchè da sotto la mia pelle risaltino le vene, mentre sotto la tua si intravedano fiori.

Sai cosa ne faccio dei tuoi nei? Costellazioni.
Sai come ci riesco? Fingo che il tuo corpo sia un cielo.
Sai dov'è la finzione? Che invece di circondare tutto, ha tutto intorno.

Insegnami quello che di importante c'è da sapere. E "insegnami" non vuol dire solo "dimmelo", significa "trasformami".

12 gennaio 2007

Post Rock Post

Se per quel breve lasso di felicità passata, io provo gioia invece di tristezza, va bene uguale? Vi va bene mettervi nei miei panni anche se non mi lavo da una settimana? Posso considerarmi un fuorilegge perchè mi scarico le canzoni da internet e supero il limite di velocità quando è a 50km/h? Vi arrabbiate se mangio l'ultima fetta di pane? La mia coscienza è a posto anche se non possiedo un telefono cellulare da 500 euro. Anche perchè l'apice della telefonia mobile è stato il Nokia 3310, rimasto da allora ineguagliato. Il mio anno non è un fallimento se non passo l'estate in un villaggio turistico. Dove "animazione" ha una strana assonanza con "reparto di rianimazione". Non mi avrete mai. Tu, birra analcolica: prodotta negli impianti industriali per l'imbottigliamento degli ossimori. Tu, navigatore satellitare: togli il divertimento da una attività altrimenti divertente, privandola della parte difficile. Come finire doom con i trucchi. Come giocare a pallone con i bimbetti cinquenni. Ma se usare una guida stradale cartacea è da considerarsi difficile, allora, come genere umano, stiamo messi decisamente male.

Ti ordino di assomigliare ad un gatto, o ad un vecchio lupo di mare. Di guardare in uno di quei giocattoli di plastica rossa che assomiglia ad una macchina polaroid, nella quale ruotano dischi di diapositive con immagini di luoghi famosi. Di recitare in un teatro di ghiaccio. Di inventare una nuova pseudo-medicina che curi la gente mettendo forchette in equilibrio sopra bottiglie. Di sostituire alla tua pelle un tessuto con motivi tartan. Di guidare una specie animale nella sua guerra di indipendenza. Di guidare una specie di macchina verso la sua dolce meta, verso la sua dolce metà. Di scrivere la recensione di un disco e farlo inventandoti un nuovo genere musicale. Di comportarti come se gli oggetti avessero sentimenti umani. Di lasciare un commento. Di credere nella magia di alcuni numeri. Di scendere da un autobus e salire su un treno che è pronto per partire, incontrare una persona persa di vista da tempo e affermare "che coincidenza!". Di smettere di scrivere in Arial. Di indossare l'abito verde di qualcun altro. Di non fare quella faccia. Di non fare quell'affare. Di toglierti finalmente la maschera che indossi tra la gente e mostrare a tutti il tuo volto tentacolare. Di assumere sostanze da stupefazione con contratto a tempo determinato. Di mentire con tutto tranne che con i polpastrelli. Di abbiare ad un perfetto estraneo. Di abbagliare un estraneo perfetto. Di volare al di sopra della coltre di nubi e di farla morire d'invidia. Ti ordino di tornare in disordine.

10 gennaio 2007

Manducanti agli angoli delle strade

Einstein mi sta antipatico e per questo affermo: Dio gioca a dadi. Ogni volta che chiudo gli occhi, è lanciato un dado. Il numero uscito stabilisce e fissa quanti secondi devono passare prima che io chiuda gli occhi di nuovo.

Premessa: oggi ho visto la tv per la prima volta dopo parecchio, per pochi minuti, il tempo di un panino. Per la serie "cose realmente accadute che dopo che sono accadute ti lasciano col dubbio che siano realmente accadute". Tg1 dell'ora di pranzo. Intervista marchetta a Silvestro Stallone per l'uscita in Italia di Rocky Balboa.
Domanda dell'intervistatore:
"Ma tra Rocky e Rambo, chi vincerebbe?"
Risposta di Stallone:
"Rambo, perchè spara."
Cose che fanno venire voglia di pagare il canone.
(Lo so che parlare male della televisione è inutile e più facile che sparare ad un bradipo zoppo e addormentato, da mezzo metro, mentre indossa una giacca della croce rossa. Ma seriamente. Mah.) ((Intendiamoci, il fatto di sparare ai bradipi è solo a fin d'iperbole. Non mi permetterei mai, il bradipo è un signor animale.))

Dalle ghiandole lacrimali è secreto acido. Ogni lacrima è un nuovo solco sul volto, di nuovo pelle bruciata, altre cicatrici verticali e sfiguranti, il dolore che provoca la disgregazione dell'intima struttura della materia. Accumulando sufficienti dispiaceri, un giorno una striscia di pelle sarà totalmente consumata e la faccia si aprirà come un quadernino segreto senza lucchetto. Quel giorno compariranno due bocche. Una piccola con labbra piatte ed esangui, una dentatura bianca e immacolata. Una enorme e cafona, sempre coperta da troppo rossetto, colma di denti marci e gengive purulente. La bocca nobile si morderà sempre le labbra e non oserà mai sputare. L'altra bocca ingiurierà, vomiterà, bestemmierà, mangerà con la bocca aperta, sbaverà e parlerà sempre nel momento sbagliato. Si dirà: sfiorami qui. e qui.

THIS SIDE UP e una freccia diretta verso l'alto. Tatuato su qualche mio appezzamento di pelle. Al contrario. Ad ufficializzare l'esser perennemente sottosopra.

08 gennaio 2007

L'obbligo di frequenza nella sospensione dei punti

Si spengono le luci in sala, il pubblico rumorosamente zittisce, si apre il sipario e sul palco un cono di luce gialla illumina parole casuali. Il comando che aziona i tergicristallo è fuori uso, la macchina accelera affinchè nulla si depositi sul parabrezza e tutto scivoli via verso l'alto: dal cielo, piovono parole casuali. Antiche statue di pietra opalescente per raffigurare l'infanzia, dai cui occhi è stata asetticamente aspirata la vita: nelle crepe di questa pietra crescono parole casuali che si arrampicano, la conquistano e la macchiano di verde. Il mercante romano, paonazzo in volta, gesticola teatralmente nel mezzo della piazza straniera. Inventa nomignoli che rifila ai passanti stralunati che lo squadrano come si fa con uno animale mai visto. Nelle sue mani grandi e bonarie, tra le dita, attorciglia parole casuali. Quando vibra, la corda può accedere al cuore segreto della sua armatura di legno: insieme, con un accordo che è tutto fuorché tacito, sollevano in aria la razionale precisione del loro rapporto. Sul leggìo, bianchi, fogli di carta. Sul leggìo, nere, parole casuali.

Un uomo ed una donna giacciono nudi e immobili sopra un letto bianco, l'un sull'altra. Ogni secondo che passa -come fotogrammi- parti dei loro corpi si fondono insieme. La superficie di questa nuova entità prende una colorazione verde scuro e una consistenza squamosa. Le due teste si assottigliano e rimangono separate, diventando capo e mascella del nuovo essere. Le quattro gambe si uniscono in una coda lunga e muscolosa. Dalle braccia prendono forma le zampe anteriori, mentre quelle posteriori spuntano dagli antichi fianchi come germogli primaverili. Il nuovo essere è ora formato, stupido, cammina a quattro zampe e ha il ventre basso che sfiora il terreno. Scende dal letto e con la sua andatura forzata si avvia verso la palude. Nella melma, nuota.

Uomini travestiti da antichi guerrieri giapponesi, con armature di paglia, alzano le braccia per impedirmi il cammino, mentre attraverso il mercato del quartiere dove abitavo un tempo. Li oltrepasso senza neanche sfiorarli e, quando mi volto indietro, mi accorgo che stanno confabulando. Riconosco qualche parola di cinese. Due giovani asiatici sono seduti all'ingresso di una bancherella e vorrebbero vendermi la riproduzione di una spada katana per 24 euro e 49. Io però sto cercando un bastone per il bushido.

Le Persone Quasi Famose hanno un addetto stampa. L'addetto stampa riassume la Persona Quasi Famosa in un paragrafo di parole neutre, ma velatamente elogiative. Il lavoro dell'addetto stampa è quello di permettere alla Persona Quasi Famosa di essere conosciuta senza dover passare attraverso tutta la Procedura Per Conoscere Una Persona. Come dire: andrà ora in onda una versione ridotta di me per venire incontro alle vostre capacità mentali, disponibilità temporali, abilità sociali.

La giovane donna edicolante siede tutto il giorno sul suo sgabello, dentro una grotta di carta e plastica da imballaggio. La giovane donna edicolante indossa sempre una tuta di marca, nera con righe bianche. La giovane donna edicolante ha i capelli neri sempre curati, ma la lampada della sua edicola la illumina dall'alto e sembra sempre che porti in testa una corona bianca senza diamanti. La giovane donna edicolante non fuma, ma dal suo modo nervoso di muoversi sembra che il suo organismo non desideri altro. A volte viene a darle il cambio la madre, la vecchia donna edicolante. La giovane donna edicolante tiene davanti a sè un calcolatrice con cui si aiuta a decidere quanto dare di resto. La giovane donna edicolante tiene sempre la faccia piegata in avanti, e quando entra qualcuno lo guarda senza curiosità, senza alzare lo sguardo, sollevando solo le sopracciglia. La giovane donna edicolante scherza con tutti, tranne che non lui. La giovane donna edicolante non ride mai, ma a lui sorride sempre. Forse è per questo motivo che, anche se deve fare più strada, ora lui va sempre in un'altra edicola.

06 gennaio 2007

Portami un sasso da metà strada per la luna

"Male" si traduce con "maschio", ma si scrive come "male", contrario di "bene".
"Female" si traduce con "femmina", ma si scrive quasi come "fa male".

E' solo una teoria, ma: L'amore non esiste. E' stato inventato. E' stato ipotizzato, definito, tramandato, impartito, santificato, mercificato, imbellettato, commercializzato. Qualcuno ci crede ancora. L'amore è morto. Come Dio, con un saluto al nostro amico comune Fede.

Eravamo a bordo di una nave, in gita scolastica per studenti di nessuna scuola. La nave era il Titanic, ma era piccola, poco sfarzosa, e non sarebbe mai affondata. Mi imbattevo in te mentre salivo di ponte in ponte, eri con le tue amiche. Avevi gli occhi mascherati con trucco nero, la pelle bianchissima e i capelli ti nascondevano metà del volto. La più insulsa e maligna delle tue amiche ti sfida a venir nella mia cabina. Eravate come streghe. Sarcastica accetti. Ti faccio strada e non ho coraggio di toccarti. Mi segui in silenzio e mi sembra di intravedere un sorriso, cui non do significato. Quando arriviamo alla mia porta sei grandissima e completamente coperta di veli. Ti metto un braccio intorno alla vita e con forza ti tiro dentro, sei pesante ma non fai resistenza. Ti adagio sopra la mia cuccetta, che sembra la cameretta di un mio vecchio compagno delle scuole elementari. Inizio a toglierti i veli di dosso. E tu non ci sei. Al tuo posto un materasso. Torno indietro a cercarti, ti trovo. La mia espressione ti fa ridere. Ora è un gioco. Dici ok, basta trucchi. Vengo in camera tua, ma come un tavolo Spingimi. Ti porto, sotto forma di tavolo, lungo metà della nave, di nuovo fino alla mia camera. Ti faccio entrare a fatica, manovre impossibili. Ora sembra la mia di cameretta, quando andavo alle elementari. Il tavolo è a posto, ma tu non sei più il tavolo. Fai capolino attraverso la mia porta aperta. Entri accompagnata dalla tua corte. Le tue amiche ed una donna anziana. La donna apparecchia il tavolo che io ho portato con tanta fatica. Ceneremo insieme. Io e te, e tutti gli altri intorno a guardarci. Mi siedo a tavola, c'è un calice ad aspettarci. La donna anziana ci invita a bere. Io so che stai cercando di avvelenarmi e faccio solo finta di bere. Tu non bevi. Mangiamo e io prendo una bottiglia di vino delle mie. Verso per entrambi. Bevo. Tu no. La donna anziana interrompe: "Sapevo che la mia ragazza non è stupida. Ti aspettavi che avvelenasse il vino?". Tu mi guardi orgogliosa, i tuoi occhi sembrano voler prendere fuoco. Chissà se anche tu provi la stessa cosa.

Ti fisso alla volta del cielo con una puntina da disegno divino

Commettere errori.
Fare finta di niente.
Non voler stare al proprio posto, ma non saper fare altro.
Se mi mangiassi sarei più simile a me di quanto non sono stato mai.
Mi spaventa un ritmo reggae che mi spinge indietro e mi graffia l'addome.

Vorrei andare via anche io.
Completamente e crudelmente.
Cambiare pelle.
No no, meglio, restare senza pelle.
Insieme: non funziona.
Da solo: non funziona.
Una noiosa lenta tragedia teatrale.
Speriamo che il dramma si consumi presto che non ce la facciamo più.
L'ho ripetuto così tante volte che non so più come spiegarlo e non ci credo più neanche io.

Qui entra la chitarra elettrica ed è bello e mi fa male lo stomaco.

Qualcuno sta cercando di dividerci per un numero irrazionale.

Ti penserò, te che vai in guerra.

02 gennaio 2007

Tutto va secondo il piano, in secondo piano, in seconda, piano.

Rio conosce il disagio di vivere in un luogo meta di pellegrinaggio.
Non è stata una scelta di Rio.
La prima persona ha bussato alla sua porta circa 4 mesi fa.
Mancava poco all'ora di cena e gli si presenta una ragazza dai capelli castani, sulla trentina.
Gli chiede di poter vedere il bagno.
Rio le chiede il motivo, ma lei si rifiuta di darlo.
Rio non capisce.
La ragazza insiste.
E' sull'orlo delle lacrime.
Rio le chiude la porta in faccia.
La seconda volta, il giorno dopo, è un coppia.
Stessa richiesta.
Stessa insistenza.
Rio ancora non capisce, ma questi due hanno un'aria innocua.
Li conduce in bagno.
Chiedono di essere lasciati soli.
Ne escono 20 minuti dopo, come niente fosse.
Ringraziano e fuggono via.
E' successo tante altre volte.
Ora la porta della casa di Rio è sempre aperta.
La mattina, d'abitudine, si sveglia e offre la colazione allo sconosciuto che trova in casa sua.
Arriva gente da tutte le parti del paese, soprattutto coppie, ma anche singoli, tra i 18 e i 40.
Entrano e vanno diritti verso la stanza da bagno, come sapessero già dove si trovi.
Si chiudono dentro e ne riescono dopo qualche tempo.
Poi vanno via.
E non tornano più.
Non parlano quasi mai, non portano via nulla, non lasciano nulla.
Eppure non si forma mai una fila.
Mai che qualcuno sia arrivato con altri già dentro.
Rio all'inizio è stato curioso.
Curioso ed esterrefatto.
Ne ha spiati alcuni, attraverso il buco della serratura.
Certe coppie si tenevano per mano.
Li ha visti sedersi sul bordo della vasca da bagno.
Li ha visti restare immobili, senza dire una parola, quasi senza respirare.
Li ha visti fissarsi riflessi nel piccolo specchio sporco sopra il lavabo.
E niente altro.
Ora Rio non fa più domande.
Non si fa più domande.
Non si ribella, vive come un gatto: libero, in luogo pubblico.
Solo certe volte gli capita di provare qualcosa di simile ad un melanconico fastidio.
Rio conosce il disagio di entrare nel tempio e non essere parte del sacro.