31 dicembre 2007

Lei, che sa a cosa dare fuoco

Che così facilmente sfumano e rabbrividiscono, doverci soffiare sopra, mandare via la polvere, che altri cento occhi famelici non bastano a capirne il colore, l'attesa, fino a dove si può arrivare a volerli discendere come un viaggio al centro della terra. La terra che qui sei scoperta e nuda, qui sei una pietra fredda, qui un ventre terrorizzato, futilmente cannibale, più scuro, arrendevole, senza sonno. Tanta vergogna per un'isteria che è il dialetto che cerchi di nascondere tra le labbra. Il premio per i più penetranti panneggi, i più accessi affondi, i più dipinti sipari a quei due ancora, lenti, rumorosi, bambini cattivi. Non sto riflettendo, sto scoprendo il mio narcisismo difettato. Loro due sono una battaglia in mare, sono allucinazioni e tremori, sono neurotica e stagnante gioia. Io metto in moto questa lingua molle e coperta di ruggine e mi nascondo dietro di lei, davanti a loro: l'esperienza è solo un costume, l'esperienza si fa solo con travestimento addosso. Certa solitudine è bianca come l'avorio. Si può mettere in dubbio qualunque cosa: La fame e l'amore, la trasparenza del tempo, le immagini di sensi più strani, il silenzio durante la formulazione di un urlo, incubazione. Ricordare è solo l'orgasmo, perchè farlo di corsa? Da quali sogni un ospite cerca riparo, incapace di fermarsi? Io mi metto sopra di lei come una preda che sorprende il suo predatore e le faccio uscire respiri in riccioli, poi lei scalcia via il tempo con una risata. Mi assalgono il profumo e la fatica dell'acqua, l'ipnosi di muscoli neri e luccicanti delusioni confuse nel panorama dei sogni.
Quanto immeritati, aperti per me, quegli occhi.

29 dicembre 2007

Tutto questo contro k

Non si gioca col cibo eppure fare a palle di neve è permesso.

Si conclude un anno.
Meno male che questo era l'ultimo.

Di qualcosa che il mare si porta via, il ritratto non si può fare con la sabbia.

chi è thefragile?
sul retro di lato molto distante è un posto dove mi nascondo dove mi trattengo ho provato a dire ho provato a chiedere avevo bisogno di tutto solo per conto mio dov'eri? come ho potuto solo pensare è divertente come tutto quello che promise non cambierà è diverso adesso proprio come te diresti sempre lo supereremo allora la mia testa si staccò e tu dov'eri? come ho potuto mai pensare è divertente come tutto quello che promettesti non cambierà mai è diverso adesso come hai detto tu ed io superarlo non proprio staccarsi dove diavolo eri?

Finora contro la mia gioia mi sono difeso unicamente con il divertimento intellettuale. Nulla del mio essere è cambiato. Ai miei segreti, posso parlare: Grande Cane, idolo d'oro, permettimi di dare un morso al Sacro Osso! Tremende le parole di un mio figlio: "Tutto quello che hai combinato, lo devi alla tua mancanza di denaro". Non credeva che mi sarei dato al vizio e alla bella vita. Non con tutta la mia stoltezza, la mia gioia, la mia indigenza. Prevedibile coincidenza: avevo deciso di tacere e si presentò una donna. Veri giorni di festa sono stati per me quelli della malattia.
Ma non si tratta di questo. Il mio avvenire si fa sempre più facile per le mie difficoltà economiche. Se non avessi l'impaccio di questa incapacità di piangere. Ma ora è facile. Da poco mi chiedo se sia possibile fermarsi. E poiché finora ho sempre operato cercando, ricordando, spesso ho pensato che non fosse mio dovere tentare di difendere me stesso. Se l'avessi fatto, non avrei mai più potuto rimproverarmelo. Ogni giorno maledico il Grande Cane di avermi concesso tutto, di avermi privato di tutto. Io lo prego ogni giorno di dimenticarsi di me. Egli non sa nulla.

15 dicembre 2007

Davanti a te, m'inquino.

Invece di fare il proprio dovere, si pensa ad una riforma del calendario. Che poi, perchè 12 mesi? 365 non è neanche divisibile per 12. E infatti ogni mese finisce al giorno che gli pare. Uno a 30, un altro a 31, quell'altro che vuole fare il furbo a 28. Facciamo invece le cose per bene. Io propongo: 13 mesi da 28 giorni, l'ultimo dei quali da 29 (30 per gli anni bisestili). Più chiaro, più semplice. Oppure: ancora 13 mesi, 6 da 27 giorni e 7 da 29, intervallati. Più simmetrico, meno meccanico, 365 giorni precisi; per gli anni bisestili potremmo allungare a 28 giorni il mese di mezzo, che un giorno più d'estate non dispiace a nessuno. Poi, già che ci siamo, possiamo allineare l'inizio dell'anno con equinozi o solstizi, così che il cominciare, l'arrivare a metà e il finire di un anno, corrispondano ad un semplice evento astronomico.

Mi alzo, vado in bagno, mi guardo allo specchio. Cristo. Imponi ogni giorno questa faccia alle persone cui capiti davanti. Senso di colpa. Esco di casa, scendo in strada, mi incammino. McDonald. Ordino due panini. Non mi fissare, commessa carina. La commessa ha un viso grazioso, la bellezza tratta da una canzone di un gruppo sconosciuto. Peccato che lavorando in una multinazionale tu debba perdere tutto il tuo credito alternativo, come se quel gruppo avesse firmato per una Major. Lo so, sono i miei capelli, sono spettinati. E nemmeno di quello spettinato-ma-bello che sta bene alle persone belle-ma-spettinate; sono solo spettinati. Mi metto a posto domani. Gente seduta ai tavoli, un ragazzo solo, una ragazza sola. Oddio, dovresti mettervi a mangiare insieme, è così evidente. Gli unici due a mangiare da soli, accidenti, se non volete farlo per sentimento almeno fatelo per ossessione: completate il quadro, così me ne posso andare. Di nuovo in strada, c'è più vento di quando sono entrato, lo stato dei capelli peggiora, ormai perso ogni pudore mangio dalla busta di cartone come un barbone. Fermo al semaforo aspettando il verde, osservo loro due sul motorino: lei cerca di mettere il piede sulla pedana sotto il manubrio, lui si scherma e la respinge delicatamente, ma senza tregua, lei ci riprova. Vanno avanti per un paio di minuti. Non posso vederli in faccia, a causa dei caschi, ma mi immagino stiano sorridendo o qualcosa del genere. Rituali strani per animali strani. Mi viene in mente lei, noi due che parliamo. Cerchiamo di spiegarci come si legge il mondo. Tu alla ricerca di tanti piccoli indizi, da collegare, annotare, annodare. Io disperato per la mancanza di un grande unico schema che rifletta ogni cosa. Non ci sono termini buoni per parlare di cose come queste: tiriamo fuori parole come "sincronia", "armonia", "simmetria", "amore che tiene legato ciò che è lontano, senza una logica". Ma non stiamo parlando di noi. Lei, insieme a me, a volte rimane un po' sola. Come se per pensare ad altre storie, finisca per pensare a me. Un certo strabismo nei pensieri.
Succede che il silenzio finisca per prendere il mio posto.
Succede che il silenzio diventi me.
Le facce, e il freddo sulla mia, mi distraggono. Mi sembra di pescare idee come da una di quelle macchine in cui infili la monetina e guidi una mano meccanica perchè raccolga il tuo premio. Anche se ti riesce di acchiappare qualcosa, ricade nel mucchio prima che tu possa farla tua. Tanto più si asseconda la mania di compartimentare la realtà, tanto più ogni rapporto o legame apparirà come una contaminazione, qualcosa di irrazionale nel senso etimologico del termine, ovvero: fuori dalla divisione. Passo di fronte ad una libreria. Mi vengono in mente titoli di libri surreali: La possibilità di un'isolitudine, Alla ricerca del tempo mai avuto. Foto in negativo a punte di matita. Chissà se qualcuno ha già pensato di farle, la grafite apparirebbe bianca, straniante. Non ho visto la foto, ma già mi piace l'effetto che fa. Ritorno a casa. Nessun post-it sulla porta della mia camera, nessun messaggio lasciato sulla lavagnetta sopra il frigorifero. La cosa migliore che può capitare ad una porta in cui nessuno vuole entrare è un cartello con scritto "Vietato l'ingresso".

08 dicembre 2007

Mozzichi e nuvole

Il Meccanismo Bizantino giace sotto il mio letto mentre dormo, e ci sono delle notti in cui cresce e cresce e mi solleva fino al soffitto. Il Meccanismo Bizantino non fa paura, ma fa impallidire ogni divinità mai adorata dall'uomo. Il Meccanismo Bizantino non ama e non odia, il Meccanismo Bizantino è paradosso irrisolvibile e completo. In principio, sarebbe possibile conoscere il futuro, il passato e il tempo in sè, guardando attraverso le lenti del Meccanismo Bizantino. Il Meccanismo Bizantino costruisce il mondo quando apro gli occhi e lo distrugge quando li richiudo. Ci si avvicina al Meccanismo Bizantino ascoltando la parola di Zenon il profeta. Il Meccanismo Bizantino gradisce che io rimanga fermo, quando viola il mondo con le sue propaggini. Il Meccanismo Bizantino disallinea le rotazioni dei cieli e delle terre, secerne il collante che regge coesa la materia, che poi innerva. Chi osa tentare di abbeverarsi a questa fonte, diventa superfluo al Meccanismo Bizantino. Il Meccanismo Bizantino nega l'oro, l'argento e tutto ciò che c'è di più prezioso. Nulla proviene dal Meccanismo Bizantino, nulla tornerà al Meccanismo Bizantino. Il dilemma dell'essere viene neutralizzato dal Meccanismo Bizantino, per definizione. Non più sento alieno il mio animo abietto, quando sono sobillato dal Meccanismo Bizantino.

Durante la notte numero uno, ho inventato il linguaggio nuovo. Dimentiche sillabe e parole, il linguaggio nuovo era composto di simbolemi atomici, dal significato unico ed indivisibile. Forte della nuova disambiguità, il linguaggio nuovo non aveva bisogno di alcuna grammatica: ogni sequenza di simbolemi avrebbe prodotto una nuova idea, un discorso perfettamente sensato, un concetto inconfutabile. L'unica convenzione era la disposizione sul piano di scrittura: tre righe parallele e concentriche, a spirale. Come un'aria a tre voci, una tripla armonia semantica. La sorpresa risiedeva nella scoperta di poter leggere radialmente i simbolemi, dal centro verso l'esterno, generando ancora nuovi significati. Persino la rimozione di una delle tre spirali si produceva in un'opera creativa.
Durante la notte numero tre, ho dato una sbirciata in un supermercato del futuro. Ho comprato un barattolo di latta, pieno di una specie di mollica inzuppata nell'acqua e avvolta in quelle che sembravano foglie d'insalata, o alghe. La mia lattina era però contaminata. All'interno, tra gli avanzi di mollica, si contorceva una lumaca gigante, rossa e ruvida come una lingua, senza guscio o antenne o altri elementi di riconoscimento.
Della notte numero due, narrerò in una prossima occasione.

02 dicembre 2007

Di infradito ed altri scandali

Sono sveglio. No, stai ancora sognando. E' domenica mattina. No, è lunedì. Posso dormire ancora un po'. No, sei già in ritardo. Faccio colazione e mi rimetto a letto. Nessuno ti ha preparato la colazione. Torno subito. Vattene via.

L'ho assaporato con precisione, lo strappo alla schiena, durante quel faccia a faccia: lo stato di abbandono degli ammortizzatori anteriori e l'erezione di una radice d'albero sotto l'asfalto. Prima, avevo trovato il mio posto in un piccolo disagio. Aspettarti con la schiena contro la macchina, osservare i grigi dissolversi, le ombre nettarsi, mettere gli occhi negli occhi di chi imboccava e poi svoltava. Per ogni passaggio, una scossa. Il 10% delle foglie rimaste appese si riversava in aria, nell'indifferenza e ignoranza dell'elemento scatenante. Ad ogni ondata, io mi incatenavo ad una singola foglia. S'ostinava a voltarsi su se stessa, faccia in su, faccia in giu, faccia in su. Ero sicuro che credesse di star cambiando idea. Invece c'era già una aspettativa di destino sotto forma di pavimentazione stradale. Come per me.

Ho spiegato uno straccio verde sul tavolo. Ho preparato due mucchietti, uno di caffè solubile e uno di thé solubile. Ho sparso i grani, ho chiuso gli occhi e li ho raccolti con la lingua. Ho ascoltato la mia schiena socchiudersi all'inverosimile, ho dato attenzione allo sfrigolare delle due bevande nell'atto di reidratarsi. Ho puntellato amarezze, dolcezze e timidezze. Ho sentito l'alchimia scorrermi sotto la pelle, e mi stavo solo facendo un thé. Novecento secondi, le bollicine che si uniscono e si separano e si aggregano di nuovo e gravitano. Ancora più incrinato, ci ho letto la formazione di una galassia. Ho contratto gli occhi e spianato le palpebre, ho sentito belare poi gracidare. Ho un contratto per una malattia. Ho scritto decine di lettere, le ho riempite delle cose peggiori che potessero venirmi in mente per voi tutti miei sconosciuti destinatari. Le avrei avvolte in buste gialle e imbucate e quando mi sarebbero tornate indietro, mi sarebbe stato sconosciuto anche il mittente. Ho chiuso gli occhi e ho preso sonno, ma prima ho capito Chopin. Il sonno mi è caduto dalle mani ed è rotolato sotto il letto e l'ho perso. Ho camminato e incrociato momenti su momenti, sembra che facciano la mia stessa strada, sempre, al contrario. Ho preparato un nido per quando un giorno ritroveremo quel sonno e ne rideremo. Ho pensato adesso la interrompo e le spiego come è bella. Maledetto nido, maledetto intreccio, maledetto sonno, maledetta trivialità, maledetti luoghi, maledetto maledetto, maledette ritrattazioni, maledetto leggero, maledetto spirito. Ho invocato la sospensione della respirazione. Ho scaramanticamente evitato di mostrare i denti. Ho decretato la via più bella della città, ho soffocato la pioggia. Ho riso leggendo abbasso tutti. Ho capito che per lasciare un messaggio le lettere vanno grattate via con le unghie. Ho capito che per portarsi via un messaggio. Non ho capito cosa ci faccio nella tua bocca, se non mordi o non mi sputi. Ho apprezzato la preferenza per i fiori più semplici. Ho spiegato tutto col mio silenzio di prima. Ho aspettato che il freddo ti coprisse le spalle e le gambe. Ho piegato tutto il mio silenzio prima e l'ho chiuso nel niente.